Ho letto “L’innocente” di Gabriele D’Annunzio

Con D’Annunzio colmo una lacuna. Mi sono reso conto di non averne mai letto una pagina leggendo M Il figlio del secolo di Antonio Scurati, vincitore del Premio Strega 2019. Diversi capitoli sono dedicati al Vate dell’Italia umbertina, persona discutibilissima ma fine scrittore e poeta e intellettuale a tutto tondo. Quindi ho scelto – come si suol dire… mi è capitato tra le mani – di leggere L’innocente, secondo dei romanzi del cosiddetto ciclo della Rosa, di cui fanno parte Il piacere e Trionfo della morte. Fa piacere leggere un bell’italiano come quello di D’Annunzio, ricco di sfumature linguistiche e di termini il cui uso si è perso con il tempo. D’altra parte quasi 130 anni sono trascorsi dalla sua pubblicazione e la lingua nel frattempo si è alquanto deteriorata.
L’innocente tratta il tema dell’infedeltà e in seconda battuta della gelosia. Infedeltà a senso unico naturalmente come doveva essere alla fine dell’Ottocento e così come è stato fin quasi ai giorni nostri. Al maschio tutto è consentito e la donna deve stare quieta.
Così Tullio Hermil, ricco proprietario terriero in realtà nullafacente perché della terra si occupa il  fratello minore, è sposato con Giuliana, dalla quale ha avuto due figlie: Maria e Natalia. La famiglia vive a Roma e la vicenda si svolge tra lì e la tenuta di campagna. Che tipo è Tullio lo dice lui stesso raccontando in prima persona i suoi tormenti amorosi:
Io era tornato a lei, pentito e sommesso, dopo la prima grave infedeltà. Mia madre, inconsapevole, con le sue care mani aveva posto un ramoscello d’olivo a capo del nostro letto e aveva riempita la piccola acquasantiera d’argento che pendeva dalla parete.
Perdonato la prima volta, Tullio non demorde e dopo tre anni: Ero stato l’amante di due tra le sue amiche intime. Giuliana deve essersi messa il cuore in pace, dedicandosi alle bambine, sempre assistita dall’ignara madre di lui, tanto più che “la certezza di non essere giudicato da lei come un uomo comune alleggeriva nella mia conscienza il peso dei miei errori”. Più volte recidivo, così Tullio invoca nei confronti della moglie nient’altro che un affetto sororale. Un bel tipo, vero?, questo signorotto: Io credevo che per me potesse tradursi in realtà il sogno di tutti gli uomini intellettuali:—essere costantemente infedele ad una donna costantemente fedele.
Il peggio di sé lo dimostra quando Giuliana deve subire un’operazione chirurgica e nel momento di maggior bisogno di assistenza lui se la dà a gambe a Firenze con l’ultima delle sue amanti. Rassegnata, la donna affronta la convalescenza e si riprende, mentre Tullio va e viene. Durante uno di questi ritorni trova la moglie rifiorita e insolitamente serena, quasi felice. Abbandonato, infine definitivamente, dalla sua amante durante un burrascoso soggiorno a Venezia, Tullio torna e cerca di farsi perdonare l’ennesimo tradimento. Vorrebbe vivere in campagna con lei quasi una seconda luna di miele. Ma lì si nasconde il trauma: Tutto crollò, ruinò, dentro di me, intorno a me, irresistibilmente. Giuliana è incinta. Di un altro.
Metà del romanzo è dedicata ai tormenti di Tullio. Ormai ama solo la moglie e l’assiste nei mesi della gravidanza. Tra loro resta però quel ‘piccolo’ ostacolo. Vorrebbe capire come è successo, chi è stato.
Io pensavo: “Ella non ha finora mai alluso direttamente alla sua caduta, al modo della sua caduta. Una sola frase significante ella ha proferito:—Credi tu che la colpa sia grave quando l’anima non consente?—Una frase! E che ha voluto ella significare? Si tratta d’una delle solite distinzioni sottili che servono a scusare e ad attenuare tutti i tradimenti e tutte le infamie. Ma, in somma, quale specie di relazione è corsa tra lei e Filippo Arborio, oltre quella carnale innegabile? E in quali circostanze ella s’è abbandonata?” Un’atroce curiosità mi pungeva. Le suggestioni mi venivano dalla mia stessa esperienza. Mi tornavano alla memoria, precise, certe particolari maniere di cedere usate da alcune delle mie antiche amanti.
In questo pensiero di Tullio è racchiuso tutto il senso del romanzo, che nelle ultime pagine diviene incalzante come un giallo. Per metà lettura mi sono interrogato su chi fosse l’Innocente del titolo, se lui o lei. Infine la nascita del bimbo, che prende il nome del padre di Tullio, non lascia dubbi. L’uomo gufa contro la salute di Raimondino, che nasce e cresce sanissimo, perché rappresenta un ostacolo alla ricostruzione del rapporto con la moglie.
Incominciò da quel giorno l’ultimo periodo precipitoso di quella lucida demenza che doveva condurmi al delitto. Incominciò da quel giorno la premeditazione del mezzo più facile e più sicuro per far morire l’Innocente.
C’è da aggiungere altro?

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