Ho visto “La mia vita con John F. Donovan” di Xavier Dolan

Amo particolarmente i film di Xavier Dolan che considero un talento del cinema mondiale (qui le mie recensioni di È solo la fine del mondo e Tom à la ferme) Mi spiace quindi aver letto critiche poco lusinghiere a quest’opera del giovane regista canadese che invece a me è piaciuta molto. Devo a un esercente illuminato di Merano che ha scelto questa pellicola (continuiamo a chiamarle pellicole nonostante non se ne faccia quasi più uso) al posto di titoli sicuramente più accattivanti se una domenica pomeriggio di luglio sono riuscito a recuperare questa visione che mi mancava. È un film che fa riflettere sugli eccessi dello star system e sul fanatismo che travolge molti giovani. Lo stesso Dolan da ragazzino negli anni Novanta era stato un fan scatenato di Leo Di Caprio.
La vicenda narrata nel film riguarda un bambino di otto anni che ha una sviscerata ammirazione per l’attore Donovan che interpreta un supereroe in un serial di successo. Rupert vive a Londra con la mamma, l’attore a Los Angeles, così gli scrive una lettera con la stessa speranza di avere una risposta come una missiva indirizzata a Babbo Natale. Invece Donovan risponde e da quel momento inizia una corrispondenza riservata e silenziosa in cui ciascuno si apre all’altro. Non è difficile capire che sono due solitudini che si incontrano. Rupert come tanti bambini che crescono con un genitore solo passa tante ore davanti alla tv e sogna di diventare attore. A scuola è vessato dai compagni e considerato una femminuccia. Talvolta la madre che ha entrature nel mondo dello spettacolo lo porta a fare dei provini. Donovan dal canto suo è prigioniero della sua situazione di artista, condizionato da stampa e manager, non ha veri e propri amici. La corrispondenza prosegue per alcuni anni e raggiunge le centinaia di lettere. Fino al giorno in cui in un tema in classe Rupert racconta di questa sua amicizia. Subito non viene creduto, poi mostra alcune lettere che però gli vengono sottratte dal bullo di turno. Per riprendersele combina un guaio e la storia diventa di dominio pubblico. Dall’altra parte dell’oceano l’attore è costretto a negare pubblicamente l’esistenza del suo giovane pen friend. L’amicizia tra loro si interrompe lì.
Ci sono altri momenti belli e toccanti che non voglio raccontare. La vicenda è narrata con continui flashback da Rupert, diventato attore famoso pure lui, nel momento in cui ha pubblicato un libro che rievoca la sua amicizia con John F. Donovan al registratore di una giornalista saccente e maldisposta che si ricrederà al termine dell’intervista circa lo spessore del suo interlocutore.
I due attori, John e Rupert adulto, sono interpretati da due profili quasi fotocopia Kit Harington e Ben Schnetzer. Interessanti le figure delle mamme, quella di Rupert (Natalie Portman) e John (Susan Sarandon), qui ci sarebbe da scavare molto sul rapporto tra mamma e figlio. Poi altre figure femminili rilevanti sono la manager (Kathy Bates) la cui aggressività ricorda la Maionchi, la giornalista (Thandie Newton) e l’insegnante di lettere (Amara Karan).
Ho tralasciato di dire che il protagonista della storia si chiama Rupert Turner. Non è difficile scorgere nella scelta di Xavier Dolan una sorta di crasi antroponimica tra Rupert Murdoch e Ted Turner, ovvero CNN più Sky più tutti i conglomerati mediatici che i due detengono. Così va il mondo.

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