Ho letto “Io resto qui” di Marco Balzano

Nel giro di pochi anni il campanile che svetta sull’acqua morta è diventato un’attrazione turistica. I villeggianti ci passano all’inizio stupiti e dopo poco distratti. Si scattano le foto con il campanile della chiesa alle spalle e fanno tutti lo stesso sorriso deficiente.
Confesso che anch’io poche settimane fa ho scattato foto davanti al campanile del lago di Resia e fatto selfie da deficiente. Non per questo non mi sono posto delle domande su quanta vita è rimasta là sotto quando hanno costruito la diga. Tuttavia quel campanile a distanza di decenni è un simbolo dell’attrazione turistica che esercita quella zona della Val Venosta e le immagini del lago ghiacciato e innevato, sempre più rare, lo sono ancora di più. Devo all’amico Marco Bobbio la segnalazione di questo libro (in genere non corro dietro ai premi letterari) che sono riuscito a leggere pochissimi giorni dopo la mia vacanza a Merano e dintorni. Quindi ero freschissimo di quei luoghi e quelle atmosfere.
Sono due i temi sollevati da Marco Balzano: uno è la già citata costruzione della diga con il conseguente abbandono da parte degli abitanti del villaggio di Curon che è stato sommerso dall’acqua; l’altro è rappresentato dai guasti prodotti dal ventennio fascista: Mussolini ha fatto ribattezzare strade, ruscelli, montagne… sono andati a molestare anche i morti, quegli assassini, cambiando le scitte sulle lapidi.
In entrambi i temi c’è il tentativo di difendere un’identità violata: la difesa della casa, delle radici, della lingua autoctona.
È Trina, prima ragazza e poi giovane madre, a raccontare trent’anni di storia della sua famiglia contadina e del Sud Tirolo. Giovane maestra, non può insegnare in tedesco ed è costretta a farlo di frodo, nella cantine, negli alpeggi, nei locali della parrocchia. Tutto peggiora nel 1939 quando Hitler e Mussolini si accordano per risolvere il contenzioso sull’Alto Adige e sulle altre isole linguistiche tedesche e ladine presenti in Italia. Alla popolazione viene offerta la cosiddetta “grande opzione”, scegliere se diventare cittadini tedeschi e trasferirsi nei territori del Terzo Reich o se restare cittadini italiani rinunciando però a essere riconosciuti come minoranza linguistica. Di fronte a questa scelta le comunità si disgregano, le famiglie stesse si rompono. Anche quella di Trina, la cui figlioletta decide di aderire all’opzione e di fuggire nottetempo in Germania con una zia senza avvisare i genitori. Il trauma subito dalla donna e dal marito Erich per questa perdita fa da sfondo al seguito della vicenda. Poi con l’occupazione gli italiani che non sono partiti vengono presi di mira dalle truppe tedesche. L’altro figlio Michael ha un’adorazione per Hitler e si arruola. Ai genitori non resta che fuggire e nascondersi sulle montagne con la speranza di arrivare in Svizzera.
Il dopoguerra è segnato dalla ripresa dei lavori per la diga. Arriva la Montedison e si insedia la manovalenza arrivata dal centro e sud Italia. Erich si trova spesso in prima fila a guidare l’inutile protesta della popoalzione che vedrà le proprie case sommerse dall’acqua.
Né la politica né il Vaticano vengono in soccorso a questa legittima istanza. Ridicoli gli indennizzi. L’acqua sommergerà tutto, storie di vita, gioie e dolori, speranze e illusioni.
L’acqua ci ha messo quasi un anno a ricoprire tutto. È salita lentamente, incessantemente, fino a metà della torre, che da allora svetta come il busto di un naufrago sull’acqua increspata.
Marco Balzano ha scritto davvero un gran romanzo. Ci porta in una civiltà contadina che non c’è più, ci fa conoscere la storia dei borghi di Resia e Curon dagli anni Venti al dopoguerra. Inserisce una saga familiare, intima e personale, inventata davanti a fatti accaduti e sui quali si è documentato con minuziosità per un paio d’anni.

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