Ho letto “La pioggia gialla” di Julio Llamazares

Il tempo finisce sempre per cancellare le ferite. Il tempo è una pioggia gialla e paziente che a poco a poco spegne anche gli incendi più violenti.
Credo nelle coincidenze, soprattutto se sono volute, cercate. Salivo da Huesca verso i Pirenei e il Portalet d’Aneu. Mi sono fermato qualche ora a Biescas, prima di riprendere la salita verso il passo che conduce in Francia. Tempo di acquistare al mercato ai bordi del rio Gállego quel pane e formaggio che avrei consumato in cima al colle. Proprio quella sera avrei incontrato Biescas nelle pagine di questo libro che stavo leggendo, perché è in quei dintorni che Julio Llamazares, spagnolo di Leon,  ambienta La lluvia amarilla (1988).
È un libro sulla solitudine, la memoria, la vecchiaia, sulla tenacia nella difesa di un territorio, che nella fattispecie è un villaggio arroccato sui Pirenei, a ore di cammino dal centro ‘civilizzato’ più vicino. Lì si è auto-recluso Andrés de Casas Sosas, ultimo abitante di Ainielle, ora dimenticato da tutti dopo che invano hanno cercato di riportarlo a valle come invece hanno accettato di fare tutti gli abitanti di quel luogo senza futuro. Con un lungo e doloroso monologo Andrés rivive la storia di quella terra e delle persone che l’avevano abitata.
…nessuno avrà potuto immaginare gli orribili morsi della solitudine sofferti da questo cadavere non sepolto.
Andrés con il passare degli anni, dopo che l’ultimo figlio lo ha abbandonato, l’altro pare essere scomparso in guerra, dopo che la moglie è morta, consumata da una vita di fatica e di stenti, resta il solo muto testimone del disfacimento del paese. Dapprima tiene puliti i viottoli, ripara i muri a secco, puntella le case pericolanti, poi il tempo e la natura hanno il sopravvento e vede crollare una a una tutte le case e i rovi impadronirsi di quello che resta.
Gli occhi però si abituano agli oggetti, li assimilano a poco a poco alle proprie abitudini, alle forme che vedono ogni giorno, fino a trasformarli nel ricordo di qualcosa che un tempo avevano imparato a vedere.
Per qualche tempo, di nascosto per non incontrare gli ex compaesani, mantiene rapporti con un negoziante di Biescas a cui porta il risultato di qualche piccola coltivazione, frutti, castagne, patate, quel poco di selvaggina che riesce ancora a cacciare con le sue trappole. In cambio riceve olio, farina e quanto gli è necessario per superare l’inverno. Le sue rievocazioni occupano tutta la giornata, anche la notte, quelle notti in cui soffia il vento e il villaggio produce rumori sinistri. E lui è visitato dai fantasmi della mamma, della moglie, degli altri abitanti. Arrivano ogni notte e si sistemano attorno al tavolo della cucina, non alzano il volto ma Andrés sa che sono loro. A volte lo spaventano e lui deve fuggire di casa e trascorrere la notte all’addiaccio, rientrando solo alla luce del mattino.
All’improvviso tempo e memoria erano diventati una cosa sola e tutto il resto – la casa, il paese, il cielo – aveva smesso di esistere, se non come ricordo sfocato di ciò che era.
Le cose intorno a lui si tingono di giallo, colore preludio della morte. Dapprima è il cielo, poi l’aria, la notte, la pioggia, poi le cose, le pietre, perfino i volti delle persone nella sua memoria. Da ultimo prepara la propria morte con una fossa accanto a quella in cui aveva consegnato alla terra le spoglie della moglie, nel piccolo cimitero del paese. Prima però occorre sistemare la cagna per la quale non ha più cibo. Andrés vuole evitare di venire rosicchiato quando, chiuso in casa, si auto comporrà sul letto di morte. Per la povera bestia ha conservato un’ultima cartuccia.
Ho sempre voluto morire così: come un albero addormentato, come un tiglio incantato dalla luce della luna nella pace della notte. Ma non ho avuto fortuna nemmeno in questo.
Non a torto La pioggia gialla è stato definito uno dei libri più emozionanti che siano stati scritti sul tramonto della civiltà contadina e con questa motivazione nel 1994 Lamazares ha ricevuto il Premio Nonino. È letteratura ma è anche coinvolgente poesia. Mi viene voglia di girare l’auto e rifare i Pirenei al contrario, scendere a Biescas e guardare la pioggia gialla delle foglie d’autunno.
E adesso che viene la mia ultima notte, che il tempo finisce e la memoria si disgela come terra al sole dopo un lungo inverno, apro gli occhi, mi guardo in giro e non trovo che questo dolore fumoso nel petto, nei polmoni, e se alzo lo sguardo non vedo che il chiarore sfocato della finestra e il disco giallo della luna su cui si disegna in lontananza il tetto di Bescós.
Si trova in varie edizioni: Einaudi, Passigli, io ho letto quella de il Saggiatore, che ha una interessante postfazione di Andrea Gentile.

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