Ho letto “Il paese delle prugne verdi” di Herta Müller

La curiosità di capire con quali criteri si scelgono i premi Nobel per la letteratura mi ha spinto a leggere questo libro di Herta Müller, semisconosciuta scrittrice rumena della minoranza di lingua tedesca, a cui l’Accademia di Svezia ha attribuito il massimo riconoscimento letterario per il 2009. Il romanzo è difficile da decifrare anche se la sua lettura è oltremodo intrigante. Procede infatti per immagini che, più che incastrarsi l’una nell’altra a completare la storia, si affastellano, si sovrappongono, tanto che la vicenda rimane sullo sfondo mentre emerge in primo piano il clima di terrore della Romania di Ceausescu. Povertà, zero prospettive, mancanza di libertà. I giovani Kurt, Georg, Edgar, Lola provano ad opporsi sia all’università sia nei primi contatti con il mondo del lavoro. Lo fanno con le idee, la lettura, la scrittura. Ma la Securitate, la polizia segreta, è inflessibile: pedina, perquisisce, convoca continuamente per interrogatori. Ai giovani non restano che due soluzioni, il suicidio o la fuga in Germania. Qualcuno ce la fa. Come la scrittrice stessa.
Come dicevo la prosa è criptica, pare di leggere della poesia (a me dà il senso di una lunghissima canzone d’autore) e il lettore è costretto ad un continuo sforzo di decodificazione. Le prugne verdi del titolo sono quelle che i bambini vanno a raccogliere acerbe direttamente dall’albero e sembrano buone solo per il fatto di averle rubate. L’equivalente della nostra “maroda”, una parola piemontese caduta in disuso – la sentivo da mio padre – che i vocabolari frettolosamente traducono con “furto”. In realtà la “maroda” di frutta è ben altro, per i ragazzi di campagna o di borgata, quasi una filosofia di vita.
Ebbene, nella campagna romena di Ceausescu le prugne verdi vengono mangiate dalle giovani guardie. Fanno lunghi giri intorno agli alberi dai rami cascanti. Si riempiono le tasche e mangiano velocemente. Raccogliere una volta sola e mangiare a lungo. Tanto che mangiaprugne diventa un insulto. “Si chiamavano così gli arrivisti, i rinnegatori di se stessi, i leccapiedi privi di scrupoli usciti dal nulla, le persone che camminavano sopra i cadaveri. Anche il dittatore veniva chiamato mangiaprugne”.
Pure i bambini se ne riempiono le tasche. Ma il genitore è vigile e ammonisce la bambina: “Non bisogna mai mangiare prugne verdi, il nocciolo è ancora tenero e s’ingoia la morte. Nessuno ti può aiutare, allora si muore e basta. Con una febbre chiara il cuore ti brucia da dentro”. Una metafora che mi pare evidente.
Post Scriptum. L’interrogativo iniziale rimane irrisolto. Come si scelgono i premi Nobel?

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