37° TFF, roba da cinema!

Il mio tortuoso percorso tra i film del Torino Film Festival. Scrivo per fare memoria a me stesso e per aiutarmi a non dimenticare ciò che ho visto. Da tempo ho abbandonato ogni velleità mondana e il mio TFF è costituito soltanto da entrate e uscite al cinema Classico che ospita le proiezioni per i giornalisti. Quest’anno è stato più forte il rammarico per i film che mi sono perso piuttosto che la gioia per quelli visti. Mi conforta però il primo premio al film nordico A White White Day e quello femminile alle attrici interpreti di Dylda.  Filo rosso tra i film che ho visto è la presenza del vino (anche bianco…) bevuto un po’ in tutti i film. Un segno dei tempi o una banalizzazione del buon bere? 

Algunas bestias di Jorge Riquelme Serrano (Cile)
Una famiglia si reca su un’isola disabitata della costa Sud del Cile. Il soggiorno è organizzato da un uomo che vorrebbe convincere i suoceri benestanti a investire per trasformare il decadente edificio che li ospita in un resort.  Le cose non vanno come vorrebbe. Il week end si trasforma in un incubo. Il custode del luogo scompare e lascia le sei persone in balia del nulla. Manca l’acqua, il tempo è pessimo, scarseggia il cibo, non c’è riscaldamento. Passano il tempo con giochi di società e bevendo (si presume buone bottiglie vino rosso cileno) in attesa che qualcuno venga a riportarli sulla terra ferma. Intanto tra loro esplodono conflitti probabilmente maturati da tempo. Accadono anche cose turpi, ‘vastase’ direbbe il Catarella di Montalbano. Invano ti aspetti che una meteorite distrugga quella ignobile famiglia oppure che si compia almeno una morte salvifica, ma non sarà così. Tutti tornano a casa. Con Paulina García (Gloria nel film del 2013 di Sebastián Lelio) e con Alfredo Castro (interprete di parecchi film di Pablo Larrain e apparso in È stato il figlio di Ciprì – 2012) a cui tocca l’ingrato compito di interpretare il nonno incestuoso e pedofilo. Voto: 4.
JoJo Rabbit di Taika David Waititi (USA)
Già premiato al Festival di Toronto, è stato il film inaugurale del 37° TFF, molto adatto ad una serata con spettatori festaioli. È una satira eccessivamente grottesca sul nazismo, almeno nella prima parte del film che ho trovata quasi fastidiosa. Il bimbo Jojo Betzler è invasato per le adunate HitlerJugend. Di più, ha un rapporto personale con un Adolf immaginario, prodigo di consigli per lui. Migliora la seconda parte del film, con la scoperta da parte di Jojo che il mondo non è soltanto nazionalsocialismo: la mamma (Scarlett Johansson) è una fervente attivista antinazista e nasconde in casa una ragazza ebrea con la quale il bambino ha un approccio dapprima guardingo e poi solidale. Jojo Rabbit diverte e commuove il giusto. Il regista neozelandese interpreta il caricaturale Hitler, citazione speciale per il Capitano Klenzendorf di Sam Rockwell (era il fessacchiotto George W. Bush nel film Vice – L’uomo dell’ombra). In uscita a gennaio sugli schermi italiani. Il mio voto è 6,5.
Dylda di Kantemir Balagov (Russia)
Intenso film russo sui postumi dell’assedio nazista a Leningrado, 1945. La città è distrutta, ingombra di neve e dai campi di battaglia arrivano negli ospedali militari amputati nel corpo e feriti nello spirito. Iya è un’infermiera giovane, bionda e di altezza molto superiore alla media, per questo è soprannominata ‘giraffa’. Anche lei è una reduce, congedata per un  trauma che ogni tanto la blocca per alcuni minuti in una sorta di trance. In ospedale è molto apprezzata, soprattutto dal primario, per il quale svolge anche un compito segreto e delicatissimo, dare ‘conforto’ a soldati traumatizzati che non desiderano più vivere. Dal fronte ritorna anche la sua amica Masha che le aveva affidato il piccolo Pashka, drammaticamente morto durante una delle ‘assenze’ di Iya. Masha, sterile dopo diversi aborti, vuole che l’amica le faccia un altro figlio e la spinge ad avere rapporti per rimanere incinta. Le due ragazze, legate da una tenerezza morbosa, rappresentano la risposta della vita alle tragedie della guerra. Premio giustissimo alle due attrici. Balagov fotografa una Russia matriarcale in cui gli uomini sono marginali. Del film piacciono soprattutto la luce e i colori degli interni dove dominano l’arancione delle pareti e il verde acceso di certi abiti. Voto: 7
A White, White Day di Hlynur Pálmason (Islanda)
Limitatamente ai film che ho visto al TFF, è un premio meritato. Nebbia e gelo in una cittadina islandese, dove Ingimundur è un poliziotto in congedo per la depressione dovuta alla scomparsa della moglie in un incidente stradale. Prima di riprendere servizio occupa il suo tempo a modificare una sperduta struttura agricola per trasformarla in abitazione e accudendo la nipotina da bravo nonno affettuoso. Da uno scatolone di cose appartenute alla moglie emergono ricordi della loro vita insieme, ma anche sospetti su suoi possibili tradimenti. Con la ricerca della verità, questa ossessione prende le sembianze di un collega più giovane a cui riesce a estorcere una drammatica confessione dopo un confronto morboso e violento. La povera bambina assiste impotente alla spirale di violenza e vendetta scatenata dal nonno. Regia magistrale. Voto: 8
Le choc du futur di Marc Collin (Francia)
Un film che piacerà a certi miei amici smanettoni con jack, console, piastre di registrazione, ancor di più se vintage. Perché qui siamo negli anni Settanta e precisamente a Parigi nel 1978. Era ancora l’epoca delle registrazioni su nastro, dei vinili, ma si stava affacciando la nuova musica elettronica. La bella Ana si diletta di comporre jingle pubblicitari ma è in crisi creativa e non riesce a stare al passo con le richieste dei suoi committenti. Quindi è sempre in bolletta. Un amico casualmente le presta una beatbox, uno dei primissimi aggeggi per riprodurre sessioni ritmiche, scoppia l’amore per il nuovo sound e così diventa un’antesignana della musica elettronica côté France. Il film è dedicato a questi pionieri. Ana è interpretata da Alma Jodorowsky, a cui non guasta essere nipote d’arte del regista cileno Alejandro. È anche cantautrice e in passato ha avuto una particina nel film La vita di Adele. Più interessanti i pittoreschi personaggi che le girano intorno: discografici, producer, critici musicali, creativi anni ’70. Voto: 6,5
Pink Wall di Tom Cullen, (Gran Bretagna)
Una storia d’amore intimista contemporanea. Jenna e Leon sono i protagonisti e il regista anziché seguirli in una banale relazione, segmenta i sei anni della loro storia proponendo i vari frammenti in ordine sparso, non cronologico. Infatti è il montaggio che rende accettabile un film che altrimenti sarebbe molto noioso. I due sono seguiti dal primo incontro in discoteca. Lei è una producer di moda iperattiva, lui inizialmente un dj, poi aiuto fotografo ma senza l’ambizione di mettersi in proprio. L’amore si infrange durante un viaggio di lavoro di Jenna a Tokyo dove tradirà Leon con un collega dopo una serata in una discoteca dal muro viola fluorescente. Di qui il titolo. In un capitolo finale, lei confessa, entrambi rimpiangono. Anche in questo film si beve molto vino (lontano dai pasti). L’attrice è Tatiana Maslany che era stata Maria Altmann giovane nel film Woman in Gold (2015). Voto: 5,5
Prélude di Sabrina Sarabi (Germania)
Sarebbe un bel film sul mondo della musica, delle lezioni di pianoforte, tra algide insegnanti e i miraggi di borse di studio in scuole prestigiose. Ma la regista rovina tutto con un finale tragico e a mio parere inutile perché si può anche deragliare dai propri sogni senza per questo suicidarsi. David, studente di pianoforte, si trasferisce in un’altra città per un’audizione che potrebbe lanciarlo nel mondo della musica. I primi tentativi sembrano positivi, l’insegnante è molto esigente, poi la conoscenza con un altro candidato e la sua ragazza, di cui David si innamora, lo rendono meno concentrato sui suoi reali obiettivi. Perde l’ardore iniziale e viene rimandato al semestre successivo. Non era preparato a una sconfitta e non ha pronto un piano B. Torna a casa e finge che tutto sia andato bene. Proprio in questi giorni ho letto la biografia del grande pianista americano Van Cliburn: per uno che sfonda nella musica, milioni non ce la fanno. Voto:
Colpiti al cuore di Alessandro Bignami (Italia)
Dal documentario di Alessandro Bignami mi aspettavo qualcosa di più di una semplice compilation di brani di film sugli anni di piombo, cuciti insieme dalla figura di Giuseppe Genna, scrittore, nato esattamente il giorno della strage di piazza Fontana. Il 12 dicembre 1969. A cinquant’anni da quel drammatico episodio che ha cambiato la storia d’Italia era doveroso fare qualcosa. Bignami ci ha provato con le testimonianze di quei registi che avevano ricostruito con la fiction cinematografica quegli episodi e quel clima di terrore: Marco Tullio Giordana, Marco Bellocchio, Vilma Labate, Gianni Amelio dal cui film Colpire al cuore Bignami mutua il titolo del documentario. Un ‘doc’ da far vedere nelle scuole per spiegare l’Italia, dal 1969 di Piazza Fontana all’altra strage insoluta, Ustica 27 giugno 1980. Voto: 6,5
Fin de siglo di Lucio Castro (Argentina)
Una relazione tra due ragazzi che si incontrano per caso in spiaggia a Barcellona. Ocho è uno scrittore argentino che vive a New York, Javi è spagnolo ma abita a Berlino. Entrambi sono in vacanza. Parrebbe un incontro di una sola notte tra due gay, se non scoprissero di essersi già incontrati e amati vent’anni prima. Qui sta la poca plausibilità della trama. Perché non si sono riconosciuti subito? Se così fosse il regista non sarebbe riuscito a mescolare i due piani temporali della storia, tanto più che i due uomini non sembrano per nulla invecchiati dopo due decenni. Uno indossa ancora la stessa maglietta… Detto questo il film vive di molti silenzi e di dialoghi essenziali, come quello, molto significativo, che vede entrambi seduti su un muretto con lo sfondo di una Barcellona estiva ma molto nuvolosa. Ancora una volta hanno una bottiglia di vino tra le mani… Colonna sonora storica con Space Age Love Song dei Flock of Seagulls (1982). Voto:
Vaccini di Elisabetta Sgarbi (Italia)
La Sgarbi non mi delude mai: ogni anno arriva al Festival con un suo film: fiction o documentario, propone sempre cose intelligenti. Innanzitutto il sottotitolo: 9 Lezioni di scienza. Ovvero come si fa a fare divulgazione scientifica senza annoiare, anzi divertendo. Un semplice tavolino dietro al quale siede un medico in camice bianco, uno scienziato, un ricercatore, un filosofo. A fianco un pupazzo gonfiabile ad altezza uomo che riproduce L’urlo di Munch. Ciascuno spiega dal suo punto di vista cosa sono i vaccini, come e quando sono nati, come funzionano, perché è opportuno vaccinarsi. L’idea geniale della Sgarbi è mettere tra le loro mani un giocattolo vintage per aiutarli a spiegare con esempi pratici. Tengono le loro brevi lezioni Chiara Azzari, Pietro Bartolo, Andrea Biondi, Roberto Burioni, Massimo Cacciari, Emanuele Coccia, Gianpaolo Donzelli, Anna Maria Lorusso e Alberto Mantovani. E smontano i luoghi comuni che circolano in quel “fiume immondo” che è il web, come lo definisce Cacciari. Prodotto con la collaborazione della Fondazione Meyer di Firenze. Le musiche, come sempre nei film della Sgarbi, sono di Franco Battiato. Voto: 8,5
Dreamland di Miles Joris-Peyrafitte (USA)
L’America rurale degli Anni Trenta, quella cantata John Steinbeck in Furore, il Texas e il miraggio del Messico per sfuggire alla povertà, la siccità, le tempeste di sabbia che aggredirono le Grandi Pianure in quegli anni. È il contesto di un bel film che evoca i Bonnie e Clyde, coppia criminale realmente esistita ed entrata a fare parte della cultura di massa del Novecento. Lei è Allison Wells, rapinatrice di banche in fuga, assassina, ferita e ricercata. Lui è l’imberbe Eugene senza prospettive se non la miseria ma con il sogno di raggiungere il padre scappato di casa quando era bambino. Aiuta la donna e trova il coraggio di fuggire con lei eludendo il controllo del nuovo compagno della madre che fa il poliziotto. Assiste ed è complice della sua fuga l’adorata sorellina (altra splendida figura di bambina comune a tanti film del TFF). Finale tragico e scontato. Voto: 7
Lontano Lontano
di Gianni Di Gregorio (Italia)
Dovrebbe essere il mio film, per età, per il pensionamento, per l’indole di fuggire. Ci ho pensato e ci penso davvero come nel film fanno Attilio, Giorgetto e il Professore, tre romani sulla settantina (ormai ci sono arrivato anche io). Andare all’estero per mantenere integra la pensione e così sollevare di un tantino il proprio tenore di vita. Ma dove? Li aiuta nella scelta un altro professore, splendidamente interpretato da Roberto Herlitzka. Li consiglia di scegliere le Azzorre, vantaggi fiscali, ottimo clima, situazione politica e sociale stabile, lingua non difficile da imparare. Fanno cassa comune e prendono lezioni di portoghese, ma poi non vanno più lontano di Trastevere e di Porta Portese, dove Attilio ha un banchetto da robivecchi. I soldi messi da parte verranno regalati a un ragazzo vu cumprà che vorrebbe raggiungere la famiglia in Canada. Film di buoni sentimenti, divertente e convincente. Bravi tutti i tre vecchietti: Gianni Di Gregorio, Giorgio Colangeli e una stretta al cuore per Ennio Fantastichini che qui era alla sua ultima interpretazione terrena. Voto: 7,5
Un confine incerto
di Isabella Sandri (Italia-Germania)
Tra il Sud Tirolo, la Foresta Nera e la Romania, un film che si occupa di un teme scottante: la pedopornografia. Una coppia ambigua gira con un camper fermandosi solo in luoghi appartati. Lui è un trentenne siciliano che smanetta con pc e social network e ha un’attività di rappresentante come blanda copertura, lei è una bambina altoatesina scomparsa da tempo. Un caso irrisolto per la polizia che non smette di cercarla. Sull’altro versante c’è il lavoro instancabile della polizia postale che indaga sui reati via internet ma soprattutto sulle reti di pedofili. È ciò che fa il ragazzo, fotografa la bambina e vende le foto sul web. Nella rete si inserisce un’agente rumena che lavora a Bolzano, prende a cuore la storia della bambina scomparsa, la cui identità è ormai individuata grazie alla segnalazione di un barista che l’ha sentita parlare in ladino. Il cerchio si stringe attorno al camper in fuga e il ragazzo decide di vendere la piccola compagna a una organizzazione criminale. Film interessante per il tema e per capire le modalità con cui opera la polizia postale per prevenire crimini di questo genere. In una particina c’è Valeria Golino, ma la scena è tutta occupata da Cosmina Stratan, trentacinquenne rumena, già interprete del film di Cristian Mungiu Oltre le colline (2012) e premiata al Festival di Cannes, e naturalmente dall’ennesima splendida bambina vista nella rassegna di quest’anno. Voto: 7
Knives Out di Rian Johnson (USA)
Produzione americana ma film degno della miglior tradizione thriller britannica. Quella alla Agatha Christie per intenderci, a cui lo stesso regista ha detto di essersi ispirato. Miglior conclusione il TFF non avrebbe potuto avere. Ora è già uscito sugli schermi italiani con il titolo Cena con delitto. Un celebre scrittore di gialli, Harlan Thrombey, viene trovato morto l’indomani della festa per il suo ottantacinquesimo compleanno. La polizia vorrebbe archiviare subito il caso come suicidio viste le circostanze, ma il celebre detective privato Benoit Blanc (a cui presta l’imperturbabile maschera lo 007 Daniel Craig), è stato incaricato da qualcuno della nutrita famiglia per indagare come sospetto omicidio. Ovviamente tutti sono sospettati e ognuno avrebbe un buon motivo per uccidere il vecchio. Personaggio chiave è l’infermiera sudamericana Ana che lo accudiva amorevolmente. Cast stellare – da Christopher Plummer a Jamie Lee Curtis oltre al già citato Craig – un film molto molto divertente. Voto: 8,5 

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