Ho letto “Quando il mondo si fermò ad ascoltare” di Stuart Isacoff

Una pagina importante della storia politica del XX secolo è raccontata in questo libro del musicologo Stuart Isacoff. Correva l’aprile 1958 quando a Mosca si svolse la prima edizione del concorso pianistico e violinistico intitolato a Pëtr Il’ič Čajkovskij. Si era in piena guerra fredda e USA e URSS si contendevano la supremazia mondiale in tutti i settori, dallo sport al nucleare, dalla conquista dello spazio alla cultura. Il blocco sovietico attraverso il concorso voleva dare al mondo segnali di apertura ma nello stesso tempo voleva affermare la propria superiorità anche in campo musicale, soprattutto pianistico. Invece il pubblico russo, come mentalità assai più avanti dei suoi politici, e la stessa giuria composta da grandi musicisti e presieduta da Dmítrij Šostakóvič, per una volta non asservita al volere del ministro della cultura, andarono in un’altra direzione, decretando la vittoria del giovane pianista americano Van Cliburn che si impose nettamente sulle promesse del pianoforte giunte da ogni parte del mondo. Le vicende politiche degli anni Cinquanta si intrecciano così con quella personale dell’allampanato pianista (era alto 1,93) giunto da Kilgore, Texas, in un libro a dir poco affascinante.
Rildia Bee, la mamma, fu la prima insegnante di Cliburn che presto fu ammesso alla prestigiosa Juilliard School di New York dove finì sotto le cure di Rosina Lhévinne che univa in sé l’allegria di un orsacchiotto e la maestà di una zarina. L’insegnante di origine russa aveva tra i suoi allievi anche altri partecipanti al concorso di Mosca ma la rivalità tra loro non si fece mai sentire. Se mai Cliburn era criticato per la sua tendenza ad arrivare sempre in ritardo, alle lezioni, agli esami, alle esibizioni, anche in seguito, da musicista affermato, ai concerti più prestigiosi. Secondo alcuni era un meccanismo di autodifesa per la sua fragilità e insicurezza cronica, che però spariva di fronte alla tastiera. Altra particolarità di Cliburn era l’attrazione, divenuta in seguito una vera e propria ossessione, verso l’astrologia e i fenomeni paranormali, tanto da consultare l’astrologo di fiducia di quel momento prima di accettare un ingaggio per un qualunque concerto.
Mentre le autorità sovietiche predisponevano una adeguata ‘accoglienza’ agli occidentali (la sistemazione alberghiera era più che avvilente), dall’altra parte dell’oceano si guardava con preoccupazione alla sorte dei concorrenti americani a Mosca, tanto da inserire nel gruppo dei partecipanti un ‘osservatore’ che stendesse e trasmettesse regolari rapporti. Questo era il clima attorno al concorso, d’altro canto i pianisti russi per poter partecipare erano sottoposti a esami spaventosi di dottrina e propaganda politica.
Da un esito scontato in favore di un pianista russo, peraltro alcuni erano eccezionali, anche sulla spinta della supremazia nello spazio conseguita con il lancio dello Sputnik, si passò ad uno strepitoso successo musicale ma prima ancora sul piano dell’empatia con i giovani russi di Van Cliburn. Il clima di autentico terrore che accompagnò l’intero concorso si stemperò così di fronte a questo timido, introverso, dinoccolato, fulvo musicista texano. Persino sulla sua omosessualità i russi riuscirono inaspettatamente a chiudere un occhio. Quasi trent’anni mancavano alla perestrojka e alla caduta del blocco sovietico, ma quel concorso fu l’inizio del disgregarsi del regno del terrore, della presa di coscienza da parte dei giovani russi che esisteva qualcos’altro oltre alla dottrina comunista, della fine dell’ostracismo verso la cultura americana. Lo stesso Cliburn divenne poi amico di famiglia dei Chruščëv e fu sempre ammirato e benvoluto in Russia, più che negli Stati Uniti. Non a caso il sottotitolo di questo libro è Van Cliburn, il pianista che vinse la guerra fredda.
Tralasciando gli aspetti politici del lavoro di Isacoff, occorre dire che la narrazione dei vari momenti musicali del concorso e dei bravi pianisti che lo hanno affollato, non di meno i grandi esponenti della giuria tra cui Sviatoslav Richter, Emil Gilels e Dmitrij Kabalevskij, come pure la descrizione del prosieguo della carriera artistica di Cliburn, sono particolarmente precise. Mi sono preso il gusto di leggere il libro avendo sottomano l’indispensabile Spotify per ascoltare le esecuzioni più significative, in particolare quelle di Cliburn che ha lasciato una discografia sterminata. Posso dire che è stata un’esperienza di lettura e di ascolto indimenticabile. Tralascio poi le divertenti ‘chicche’ di cui è disseminato, una su tutte la scoperta che il cantante pop Neil Sedaka (molto popolare tra noi ultrasessantenni) era stato talento precoce e studente di pianoforte alla stessa Juilliard School e aveva mancato per un pelo la selezione per il concorso di Mosca.
C’è vivo, di questi tempi, un dibattito sulla storiografia e la veridicità del romanzo storico. Ecco, Isacoff non ha scritto un romanzo su Cliburn e il concorso, sarebbe stato oltremodo più semplice, ma ha compiuto una ricerca storica ventennale sulla base di documenti ufficiali (anche i referti di gara) in entrambi i continenti e ha intervistato nel corso degli anni i superstiti ancora disponibili. Questo si chiama stabilire l’esattezza dei fatti per arrivare alla verità storica. Stuart Isacoff lo ha fatto.

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