Ho letto “Cosa loro” di Vincenzo Consolo

“Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità.”
Questo libro raccoglie una selezione degli articoli scritti dal giornalista e scrittore Vincenzo Consolo sulla Mafia. Lo scrivo con la M maiuscola perché è subito lui che ci indirizza scrivendo che le mafie sono tante, antiche e moderne, europee e americane, del nord e del sud.
Ma se diciamo Mafia, con la emme maiuscola, ci riferiamo subito a quel tipico fenomeno sociale che è nato in Sicilia più di un secolo fa. E se di mafie in genere non sappiamo neppure quante ce ne siano o ce ne siano state, della Mafia siciliana si sa molto. È lo scritto iniziale del volume, un dattiloscritto di nove pagine, probabilmente del 1969, destinato a qualche giornale non precisato e mai pubblicato, illuminante perché Consolo cerca di spiegare cos’è la Mafia, nascita (ben prima del 1860 diversamente da quanto asserisce la maggior parte degli storici) ed etimologia (deriva dal francese, dal fiorentino, dall’arabo?) e infine prendendo a prestito una citazione di Leonardo Sciascia: “un’associazione a delinquere, con fini di illecito arricchimento per i propri associati e che si pone come elemento di mediazione tra la proprietà e il lavoro: mediazione si capisce parassitaria e imposta con mezzi violenti”.
Gli articoli qui pubblicati sono in tutto 64 e coprono un arco di tempo che va dal 1970 al 2010. Sono apparsi su vari giornali: Avvenire, l’Unità, Il Messaggero, la Repubblica, Diario, la Voce, l’Ora, Oggi, Panorama, Corriere della Sera e tanti altri. Vincenzo Consolo ha svolto tutta la sua carriera giornalistica a Milano, dov’era approdato nel 1968, ma ha mantenuto sempre un occhio severo e mai indulgente sugli eventi della sua terra, in particolare quelli drammatici. Si parte dall’assoluzione di Luciano Liggio alla Corte d’Assise di Bari nel 1969 e alla successiva fuga del bandito, con la ribellione dei corleonesi che non volevano più essere identificati come i concittadini di Liggio. Anzi, prima ancora, dalla strage di Portella della Ginestra con il bandito Giuliano assassino dei proletari su mandato della mafia, di cui il favoleggiamento popolare ha contribuito a fare un mito.
Negli scritti di Consolo scorrono fatti clamorosi, delitti impuniti, processi famosi, magistrati e poliziotti eroici, uomini di chiesa come don Puglisi, anche imprenditori con la schiena dritta, come Libero Grassi, in una cronistoria dolorosa che ancora oggi mette i brividi. Lui, lo scrittore di Sant’Agata di Militello, è in prima fila a denunciare: Siamo, con questo appalto delle esattorie, ancora una volta al sistema feudale siciliano: lo sfruttamento e il dissanguamento di chi lavora; la delega, da parte del barone, al campiere o amministratore di riscuotere i tributi e mantenere “l’ordine” nel feudo. Il riferimento è ovviamente alla vicenda dei Salvo, gli esattori di Salemi.
La mafia è un nemico efferato e terribile dello Stato democratico, scrive ancora Consolo, proprio come il nazifascismo. Cita scrittori che prima di lui si sono opposti alla mafia con i loro libri, una letteratura “di presenza”, necessaria, che porta i nomi di Michele Pantaleone, Danilo Dolci, lo stesso Sciascia e molti altri, una vasta biblioteca da cui attingere per apprendere e approfondire. Non mancherò di farlo. Intanto apprendo di vicende accadute che non conoscevo: i famosi frati mafiosi di Mazzarino che chiedevano il pizzo e uccidevano, la rivolta di Lercara Friddi nel 1951 dopo la morte di un ragazzo di diciassette anni, Michele Felice, un caruso che lavorava nella miniera, e ancora l’omicidio a Sciara del giovane sindacalista Salvatore Carnevale nel 1955. Ne scrive anche Carlo Levi in Le parole sono pietre, che leggerò presto.
Capaci, via D’Amelio, s’interroga Consolo: com’è possibile che qui, in quest’isola di tanta storia, di tanta cultura, di tanta civiltà ci possano essere mafiosi, criminali spietati, autori di efferati delitti, di stragi? Ancora oggi mancano le risposte. La Sicilia ha perso identità e dignità, è precipitata in un pozzo, annaspa in una tetra notte in cui bisogna aguzzare con forza la vista per scorgere un qualche lume. Oltre tutto con la costituzione della Regione a statuto speciale il rapporto tra mafia e politica si è consolidato e divenuto organico e in uno scritto del 1999 Consolo si domanda se il Parlamento, in un programma di riforma istituzionale, non debba inserire l’abolizione dello statuto autonomistico speciale della Sicilia e far diventare finalmente “normale” quella regione.
Noto che con il passare degli anni le denunce giornalistiche di Vincenzo Consolo si sono fatte sempre più precise e ricche di nomi e cognomi, l’impegno nella lotta alla criminalità sempre più pressante in nome di una responsabilità morale contro le ingiustizie e le violenze della storia. Conclude tuttavia con un filo di speranza, le parole del poeta Ignazio Buttitta: Cu voli puisia venga ‘n Sicilia.
Aggiungo che ogni testo riprodotto in Cosa loro è circostanziato da notizie esaurienti.

 

Vincenzo Consolo (Sant’Agata di Militello, 18 febbraio 1933 – Milano, 21 gennaio 2012)

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