Ho letto “La ferocia” di Nicola Lagioia

È nelle possibilità che il più bel bocciolo nasconda un laido verme.
Con questa lettura sono precipitato dentro una scrittura complessa, un bel romanzo e una saga famigliare che mi ha richiamato Alessandro Piperno, praticamente coetaneo di Lagioia (ed entrambi vincitori di un Premio Strega), di cui sono sempre in attesa di un nuovo romanzo dopo Con le peggiori intenzioni (2005), Inseparabili: il fuoco amico dei ricordi (2012)Dove la storia finisce (2016). Dicevo di una scrittura complessa e forse un tantino compiaciuta da parte di Lagioia, mentre la costruzione della trama è una sorta di puzzle letterario. Il lettore si trova ad avere in mano tanti tasselli ma non sa bene come collocarli tra loro. Occorre arrivare oltre metà romanzo per capire come il mosaico verrà ricomposto. E pure dopo, tutti gli incastri riserveranno ancora delle sorprese. Ho stentato a capire la storia per le sue contorsioni, ma ho apprezzato da subito i contesti (la Puglia di Lagioia come metafora di un Paese dove prospera la corruzione), le suggestioni sociali (una gioventù senza ideali, la disoccupazione, l’ambientalismo afono…). Una regione a cui lo scrittore non fa sconti.  Perché la Puglia non era certo Bari, disse Vittorio. Non era Lecce ed era Foggia a stento. Per il resto si trattava di una terra sulla quale bisognava avere il fegato di chinarsi baciandola a colpi di martello pneumatico. Grandi distese di grano e campi di tabacco, strade sterrate che sbucavano nelle piazze di paesi i cui abitanti si spintonavano per scagliare mazzi di banconote in faccia alle statue dei santi protettori.
La famiglia in questione è quella di Vittorio Salvemini costruttore di successo che si è fatto da sé, padre di quattro figli, Ruggero, Clara, Michele e Gioia. Michele in realtà è un fratellastro, frutto di una relazione adulterina di Vittorio ma allevato ugualmente insieme agli altri dalla moglie Annamaria. Tuttavia è un po’ un figlio di serie B e per questo ha sofferto allontanandosi sempre più dalla famiglia. Vive a Roma ed è diventato giornalista. Difficile raccontare in maniera piana cosa succede in questa famiglia, molto in vista e con addentellati in tutte le realtà che a Bari contano qualcosa, dalla politica alla magistratura. La vicenda però ruota attorno alla morte di Clara, investita da un TIR di notte su una statale ma inspiegabilmente ritrovata cadavere ai piedi di un silos in una zona industriale. Un suicidio simulato, a cui non crede il fratellastro Michele che a Clara era legato da un rapporto speciale. Il ragazzo inizia a indagare sulla vita della sorella, ne ricostruisce le relazioni che in qualche modo sono intrecciate con i destini della famiglia. Al funerale della donna, che la famiglia ha deciso di tenere lontano da Bari, Michele non va ma sono presenti le più importanti personalità del capoluogo pugliese. Qui ci sono i primi indizi per capire in quale contesto il romanzo si sta svolgendo.
Cosí in quei casi il corpo restava alla mercé della famiglia. Col risultato (la beffa, pensò il sacerdote preparandosi alla comunione) che a gestirlo erano coloro contro cui il morto doveva aver lottato per emanciparsi quando era in vita – madri e padri e nonni e zie dei quali non sopportava neanche più la dentatura deformata attraverso il vetro del bicchiere da cui bevevano. Avere al proprio funerale le persone ai funerali delle quali avresti dovuto esserci tu. Per non parlare dei loro amici, che magari non avevi mai neanche conosciuto.
E ancora Nicola Lagioia fornisce una interessante considerazione di carattere umano di fronte alla scomparsa prematura di un giovane e sulla morte in generale. La riporto perché mi ha colpito molto:
Quando ad andarsene erano i sessantenni, accorrevano i colleghi di lavoro. I novantenni erano specializzati nel trascinarsi dietro interi paesi. Ma erano i trentenni la tragedia. I trentacinquenni, non di rado i quarantenni. Non c’erano colleghi di lavoro perché spesso non c’era un lavoro. E quando il lavoro c’era, i colleghi erano troppo impegnati nella lotta per la sopravvivenza. Gli amici – quelli veri, quelli che un tempo lo erano stati – erano lontani, persi nelle città del Nord, dentro i pantani delle loro vite.
Uno spaccato della società di oggi dove si leggono in controluce l’aumento delle prospettive di vita, la lotta dei giovani per un’occupazione, la disgregazione dei rapporti sociali e familiari. Riflessioni di questo genere Lagioia riserva anche ad altri aspetti della vita odierna che fanno da sfondo a tutta la vicenda. Ad esempio la necessità di preservare l’ambiente e quindi la lotta contro le devastazioni urbanistiche e le ecomafie. E poi la crisi economica, la disoccupazione, il disagio.
Fuori urlavano i disoccupati, sbandavano gli studenti senza futuro. Dove fino a ieri c’era un bel negozio di abbigliamento non era escluso che da un momento all’altro mettessero la scritta «Affittasi». La miseria faceva schifo, ma i bisognosi gli facevano più schifo.
Quando è morta, Clara era sposata da alcuni anni con Alberto, un ingegnere che aveva trovato lavoro nell’impresa di Salvemini. Si drogava in maniera sempre più pesante. Fin da giovane era abituata a frequentare molti uomini e non aveva mai smesso neppure dopo il matrimonio. Anzi, molto spesso le sue relazioni erano funzionali all’attività del padre. La fitta trama di chi usava chi e per cosa viene ricostruita da Michele che infine scopre che Vittorio era a conoscenza di tutto e aveva orchestrato la messa in scena del suicidio.
La ferocia è una storia angosciante che mette a nudo le miserie morali di una famiglia della ricca borghesia barese che per mantenersi ben oltre la linea di galleggiamento ricorre ad ogni mezzo. E attorno si agita, come in una galleria degli orrori, una pletora di personaggi incredibili ma tanto veritieri.
Da sempre restio ad aprire nuovi filoni nelle mie letture, evito accuratamente di avvicinarmi a scrittori contemporanei perché so come vanno queste cose: ne leggi un libro, ti piace, vien voglia di continuare con i romanzi precedenti o successivi, non te lo scrolli più dalla testa. Incidentalmente ho incontrato Nicola Lagioia e ho voluto approfondirne la conoscenza attraverso i suoi scritti. Ho messo in canna i suoi romanzi e sono partito dall’ultimo pubblicato, che è del 2014, prima che accettasse la sfida della direzione del Salone del Libro di Torino.

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