Ho letto “Ah l’amore l’amore” di Antonio Manzini

Magari avevano messo anche il suo rene quattro giorni prima nei sandwich.
Vale quanto ho scritto per Elefante a sorpresa di Joe R. Lansdale. E cioè che i libri seriali hanno degli alti e bassi e non sempre mantengono lo stesso livello. Qui mi pare che Manzini faccia un passo indietro, se non altro nella parte poliziesca del libro. A weak plot, direbbero gli inglesi. Nulla da eccepire invece sugli aspetti umani del racconto e pare proprio che l’autore romano abbia puntato su questo, a cominciare dal titolo, che dice tutto. Abbiamo un Rocco Schiavone più cinico e incazzato che mai e propenso a non rispettare le regole. Sarà perché è ospedalizzato avendo subito l’asportazione di un rene in seguito alla sparatoria che conclude il volume precedente, Rien ne va plus. Il ricovero all’ospedale di Aosta tuttavia non gli impedisce di interessarsi di una strana morte avvenuta in quei giorni in sala operatoria. Parrebbe un evidente caso di malasanità e come tale sta per essere derubricato. Ma qualcosa non quadra e il proverbiale naso del vicequestore fiuta qualcosa di diverso. Il paziente deceduto si chiama Roberto Sirchia ed era un ricco imprenditore del settore alimentare valdostano (mocette, lardo e affini). L’intervento era troppo banale perché una équipe esperta come quella del primario dottor Negri possa essere incappata in un errore marchiano come utilizzare una sacca di trasfusione con il gruppo sanguigno sbagliato. Così Schiavone, ancora con il pigiama indosso e piuttosto debilitato per l’operazione subita, gira ufficiosamente per l’ospedale raccogliendo dati sul funzionamento dei reparti e avvicinandosi sempre più al nocciolo della questione. Intanto i suoi uomini sono sguinzagliati sul territorio a indagare sulla vita privata dell’industriale e dei suoi famigliari: una moglie mal sopportata, un figlio ambizioso che non vede l’ora di subentrare con nuove idee nell’azienda di famiglia, l’amante con il figlio naturale di Sirchia. Schiavone con il primario instaura un bel rapporto e gli è grato per averlo rimesso al mondo, così, epidermicamente, lo scagiona subito. Alla soluzione arriva in pochi giorni, giusto il tempo di farsi dimettere dall’ospedale. Fondamentale è l’aiuto della collega della scientifica Michela Gambino e del medico legale Fumagalli. Di più non si può dire. Segnalo solo il divertente teatrino che si genera tra Schiavone e gli abitanti del nosocomio, in particolare i degenti.
Dolori, pillole, analisi, prelievi, visite e i pasti. Tutto fuori orario, l’ospedale era un microcosmo che obbediva a regole che niente avevano a che fare con la vita prima del ricovero.
Tutto il resto è ambiente. Siccome siamo nella settimana che precede Capodanno, giorno in cui la storia ha il suo epilogo, Manzini segue le vicende personali di tutte le parti in commedia: Scipioni, Casella, Deruta, D’Intino e Perron. Per alcuni si tratta di questioni sentimentali, mentre lo stesso Schiavone, apprendiamo all’inizio del libro, ha una storia con la Buccellato, cronista d’assalto e già moglie del questore Costa. In questo romanzo ha invece una battuta d’arresto l’annosa lotta tra il vicequestore e il pregiudicato Enzo Baiocchi. La vicenda è richiamata soltanto da uno scritto che l’amico Sebastiano gli lascia sul letto d’ospedale. Se ne riparlerà nella prossima puntata della serie, ormai nota al grande pubblico televisivo, anche ai non lettori di Antonio Manzini. Un po’ come accaduto per le inchieste di Salvo Montalbano, ormai i volti dei protagonisti danzano davanti agli occhi durante la lettura.
A proposito. Credo che Antonio Manzini abbia ormai esaurito tutti gli ambiti valdostani in cui può allignare una storia poliziesca: lo sci, i trasporti, il sistema bancario, la piccola imprenditoria locale, il casinò con il suo contorno di prestasoldi e di croupier disonesti, ora l’ambiente ospedaliero. Gli suggerisco un’altra possibilità: scriva una puntata ambientata durante la Fiera di Sant’Orso e nel variegato mondo degli artigiani. Sarebbe suggestiva.
Era convinto che ci dovesse essere un modo per riaccendere le memorie antiche, altrimenti come faceva a spiegarsi che nei sogni visitava case, paesi, campagne dove non era mai stato eppure li conosceva a memoria.

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