Ho letto “Il bruto” di Panaït Istrati

Le nazioni pregano Dio in molti modi, ma lo pigliano tutte in giro in un unico modo.
Scrittore rumeno in voga negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, salvo essere ripubblicato in Italia negli anni ’90, ho incrociato Panaït Istrati (1884-1935) leggendo Una primavera difficile di Boris Pahor. Lo scrittore sloveno cita La famiglia Perlmutter (1927) ma Istrati, che scriveva indifferentemente in rumeno e francese, è più noto per il romanzo Kyra Kyralina (1924), portato sullo schermo dal regista Dan Pita nel 2014. Spinto dalla curiosità di leggere qualcosa di questo scrittore sono arrivato a Kodín (rumeno) o Codine (francese) del 1926, Il bruto nella traduzione italiana pubblicata nel 1998 da e/o. Fa parte della saga sulla vita di Adrian Zograffi, alter ego di Istrati, che occupa molti romanzi della sua produzione letteraria. In questo racconto lungo (o romanzo breve) si racconta dell’amicizia impossibile tra il piccolo Adrian e il bruto Kodín, ovvero quando l’innocenza dell’infanzia incontra la brutalità del mondo.  Kodín era un uomo di cui fidarsi, ma di cui aver paura… Nessuno sa aprire una pancia e spaccare un cuore con più abilità di Kodín.
Adrian è affascinato da questo delinquente e riesce a sfuggire ai controlli della mamma Zoiza, marina la scuola e si unisce a Kodín nelle sue scorribande. Spesso si tratta di contrabbando ma si sa che questo avanzo di galera è facile alla rissa con il coltello.
«Perché mi cerchi, Adrian? Te lo chiedo, però ti aspettavo». «Davvero?» dissi, contento. «Perché?». «Così: ti aspettavo…». «Per il fatto dell’altra sera?». «Per molti fatti: perché tu sei debole nelle cose in cui io sono forte e sei forte in quelle in cui io sono debole… Non è vero, fratello?».
L’amicizia si consolida, Kodín è consapevole di essere un cattivo esempio per il ragazzo, che tuttavia proprio in virtù di questa frequentazione vede crescere il proprio prestigio tra i suoi coetanei (un elefante che ha vicino un galletto!).
La vicenda si svolge nella Comorofca, municipalità di Brăila, un quartiere a quei tempi conosciuto per la sua miseria, tra taverne malfamate e canali che si diramano dal Danubio. Dice Adrian, che narra in prima persona: …d’inverno il Danubio mi riservava invece la sua inerzia maestosa e un universale silenzio, l’imponente solitudine dei lungofiume deserti e una immacolata bianchezza, e soprattutto la sua stasi terrificante, coperta da un lenzuolo di ghiaccio.
Quello descritto da Istrati è un mondo affascinante, un po’ picaresco, un po’ dickensiano e anche pasoliniano. La sua vita stessa è stata come un romanzo. Come tanti scrittori europei era stato invitato dal governo bolscevico a Mosca, ma le sue corrispondenze critiche sulla situazione sociale in Urss avevano indignato il Soviet. Caduto in disgrazia, fu messo sotto controllo dalla polizia segreta di Bucarest e divenne inviso anche alla sinistra francese che pure lo aveva valorizzato, in particolare grazie all’amicizia di Romain Rolland (Premio Nobel per la Letteratura nel 1915), con cui ebbe una appassionata corrispondenza letteraria fino alla morte. Morì di tubercolosi in un sanatorio di Bucarest, mai riabilitato e considerato fascista dai comunisti, comunista dai fascisti.
Per la comprensione del personaggio Istrati e della sua scrittura, l’editrice e/o ha inserito nel libro una fondamentale postfazione di Goffredo Fofi che ha tradotto Istrati e si è speso per farlo conoscere.

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