Ho letto “Il quaderno rosso” di Michel Bussi

Braccialetto verde se paghi cinquemila euro, blu se ne paghi settemila e rosso se ne paghi diecimila.
Mi capita talvolta di alternare a letture ‘alte’ o importanti, qualche libro di pura evasione. Anche da questi c’è da trarre qualcosa di utile perché, parafrasando Solone, “divento vecchio imparando sempre”. Il quaderno rosso di Michel Bussi (quarta mia lettura dello scrittore francese pubblicato in Italia da edizioni e/o) ne è un esempio. È una storia che si svolge tra Marsiglia e Rabat, ma coinvolge tutta l’Africa e si focalizza sul problema dei migranti e dell’immigrazione clandestina trattato da due angolature, quella dei poveracci che pagano per arrivare in Europa e quella di chi organizza questo spregevole mercimonio. On la trouvait plutôt jolie (il titolo originale) è del 2017. Dubito che da allora sia cambiato qualcosa nelle dinamiche dell’arrivo dei clandestini, anzi sono propenso a credere che, come paventa Bussi nel suo romanzo, qualcosa di losco in alcune organizzazioni umanitarie che sovrintendono alla loro assistenza ci possa essere.
In questo ambito si colloca la storia di Leyli Maal, una donna maliana molto bella, madre di tre figli, ben inserita a Marsiglia, con casa e lavoro, raggiunti a prezzo di enormi sacrifici. Qui, nella mia profonda ignoranza, apprendo qualcosa dell’etnia peul (francese) o fulani (secondo la forma araba) le cui donne hanno lineamenti molto delicati. L’altra cosa appresa è l’esistenza dei cauri, conchiglie cipree originarie delle Maldive, usate come ornamento e soprattutto per tanti secoli in gran parte dell’Africa come moneta di scambio.
Ancora più bella di Leyli è la figlia maggiore Bamby, ventenne, purtroppo invischiata in un paio di delitti sanguinari. Le vittime hanno in comune l’appartenenza a uno degli organismi di cui sopra, la Vogelzug, in tedesco ‘migrazione degli uccelli’. Due sono gli investigatori incaricati, il commissario Petar Velika e il suo giovane vice Julo Flores, nomi e cognomi che rivelano origini diverse da quelle francesi, a conferma di quanto sia profonda e complessa la migrazione delle genti nel mondo. Il giovane Julo, che ben padroneggia le nuove tecnologie, subodora qualcosa di strano nei comportamenti del capo, pare troppo compromesso con certi ambienti, e comincia a non raccontargli tutti i dettagli delle sue indagini. Nella vicenda hanno ruoli rilevanti i genitori di Leyli e gli altri due figli, Alpha e Tidiane. Tre figli di padri diversi ha la donna, perché il suo arrivo in Francia è stato lungo e drammatico. Tutto è raccontato in un quaderno rosso che Leyli custodisce gelosamente perché racchiude segreti pericolosi e nomi di persone intoccabili. Molti particolari della sua vita, fin dalla più tenera infanzia, li racconta alternativamente al suo datore di lavoro e a un vicino di casa con cui è entrata in confidenza, fino a delineare un quadro completo e comprensibile della sua vita. Un escamotage letterario di Bussi che ho apprezzato. Difficile è invece distinguere i fatti che accadono tra Marsiglia e Rabat. Su questo il romanziere gioca un po’, ma dopo la metà del libro si comincia a capire. Si profila il racket dell’immigrazione clandestina, tema sempre di grandissima attualità. Il mondo delle onlus e la politica francese sui rifugiati qui escono con le ossa rotte.
Tutto si svolge in quattro giorni e tre notti con i colpi di scena continui a cui Michel Bussi ci ha abituato. Sullo sfondo Marsiglia richiama i toponimi della trilogia mediterranea che ha per protagonista Fabio Montale dell’immenso Jean-Claude Izzo, un mito del noir ormai per un paio di generazioni di lettori. E anche si ricollega alla ruvida povertà dei quartieri portati sullo schermo da Robert Guédiguian. Proprio la collocazione geografica dei romanzi di Bussi, sempre diversa, è ciò che mi piace oltre alla caratteristica di non essere seriali.

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