Ho letto “Cecità” di José Saramago

Quella notte il cieco sognò di essere cieco.
Leggere Cecità negli stessi giorni in cui l’Italia e il mondo sono infettati dall’epidemia (o pandemia?) di Coronavirus è stata un’esperienza davvero notevole. Di questo libro si è parlato molto perché è tornato di grande attualità, come La Peste di Albert Camus, come Nemesi di Philip Roth, come certi film del genere catastrofico. Il motivo è il parallelismo con la realtà che stiamo vivendo perché una frase come Il Governo è perfettamente consapevole delle proprie responsabilità e si aspetta da coloro ai quali questo messaggio è rivolto che assumano anch’essi, da cittadini rispettosi quali devono essere, le loro responsabilità, pensando che l’isolamento in cui ora si trovano rappresenterà, al di là di qualsiasi considerazione personale, un atto di solidarietà verso il resto della comunità nazionale, sembra estrapolata pari pari dalle cronache di oggi.
La vicenda è sufficientemente nota. In una città sconosciuta di uno stato mai nominato, un automobilista fermo al semaforo si accorge di essere diventato improvvisamente cieco. Chiede aiuto e un uomo lo accompagna a casa, rubandogli subito dopo l’auto. La moglie lo accompagna dall’oculista nella cui sala d’aspetto attende un certo numero di persone: un vecchio con una benda nera, un ragazzino strabico, una ragazza con gli occhiali scuri. La cecità dell’uomo è inspiegabile, vede tutto bianco, e presto tutti i presenti più il ladro e la moglie del primo cieco divengono ciechi anch’essi. Verrà definita una cecità bianca per il colore lattiginoso che essi ‘vedono’. Solo la moglie del medico rimane immune dalla strana malattia. Quando il Governo realizza che si potrebbe trattare di un’epidemia rinchiude il gruppetto di ciechi in un fatiscente ex manicomio sorvegliato dall’esercito con le armi. La moglie del medico, fingendosi cieca, è riuscita a rimanere con il gruppo e all’interno dell’edificio funge da ‘occhi’ per il marito.
Intanto il virus è dilagato e le autorità per circoscrivere il contagio relegano altri cittadini nel manicomio dislocandoli nelle varie camerate. Alla fine saranno centinaia. Una soluzione provvisoria che sembra diventare definitiva. Cosa accade all’esterno non è dato sapere, mentre all’interno i ciechi si organizzano tenuto conto che il cibo è fornito dalle guardie e che non esiste alcuna forma di pulizia. Pare che il virus si sia esteso e i soldati, per paura, sparano a chiunque si affacci nell’androne.
In questa situazione, il Governo non ebbe altro rimedio se non fare di corsa marcia indietro, allargando i criteri già stabiliti sui luoghi e gli spazi requisibili, col risultato dell’immediato e improvviso utilizzo di fabbriche abbandonate, templi sconsacrati, centri sportivi e magazzini vuoti.
Il primo gruppetto costituito da medico e moglie che ci vede, primo cieco e moglie, ladro d’automobili, ragazza dagli occhiali scuri, vecchio con una benda nera e ragazzino strabico, diventa una piccola comunità di mutuo aiuto e anche a servizio dei ciechi delle altre camerate, tranne una che è abitata da un gruppo di ciechi malvagi e prevaricatori che si impossessano di tutte le razioni e pretendono di ridistribuirle a fronte di denaro e valori che i ciechi hanno portato con sé e in un secondo momento richiedendo in cambio prestazioni sessuali alle donne presenti. Durante uno degli stupri collettivi la moglie del medico uccide il presunto capo dei malvagi. Un’altra donna dà fuoco ai materassi della loro camerata, il fuoco li uccide ma si estende a tutto l’edificio.
Ora le porte sono aperte, i soldati scomparsi e noi seguiamo il gruppetto iniziale, sempre guidato dalla moglie del medico, all’esterno. La situazione è tremenda: cadaveri per le strane, carogne di animali, sporcizia ovunque, assalti alle abitazioni e ai negozi, ciechi che lottano per accaparrarsi il cibo. La donna guida il gruppetto alla ricerca delle rispettive case e di eventuali parenti rimasti vivi. A loro si unisce un cane randagio, il ‘cane delle lacrime’ che si è affezionato alla donna. La situazione è disperata, anche la moglie del medico è sfinita, e il gruppetto si interroga sull’eventualità della morte, ma non si muore di sola cecità. Si muore di malattie, incidenti, casualità connesse alla cecità. Così come (pare) non si muore di solo Coronavirus ma di patologie pregresse e collegate. Dice il medico: E adesso moriremo anche perché siamo ciechi, e cioè moriremo di cecità e di cancro, di cecità e di tubercolosi, di cecità e di aids, di cecità e di infarto, le malattie potranno essere diverse da persona a persona, ma adesso quello che ci sta ammazzando veramente è la cecità.
Saramago piace o non piace. Il suo stile, con le digressioni dei personaggi e i dialoghi, totalmente privi di segni di interpunzione, annegati nella narrazione, a prima vista può sembrare difficile e respingere il lettore. I punti sono sostituiti dalle virgole e le pagine si presentano compatte e fitte di caratteri tipografici, con rarissimi ‘a capo’. Qui non c’è nessun nome proprio, né toponimi geografici. Cecità è colmo di metafore, prima di tutte l’incapacità umana di vedere se non con gli occhi, di guardare dentro l’altro, l’egoismo, la prevaricazione, la capacità di organizzarsi nelle difficoltà e anche il suo contrario, non ultima la compassione e la solidarietà tra i deboli (soprattutto tra donne). C’è infine l’ex casa di cura per malattie mentali dove sono reclusi i ciechi, come metafora del mondo e del modo in cui viviamo. Capolavoro profetico e pessimista, Cecità (1995) compie oggi venticinque anni.
Le notizie non furono confortanti, correva voce che fosse prevista a breve scadenza la formazione di un governo di unità e salvezza nazionale.

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2 risposte a Ho letto “Cecità” di José Saramago

  1. Mario Durando scrive:

    grazie, Riccardo. Ho fatto l’esperimento di acquistarlo come audiolibro alcuni giorni fa, ma non l’ho ancora iniziato. La tua recensione mi aiuterà ad entrare meglio nel racconto, vistolo stile narrativo dell’autore.

  2. Enza scrive:

    Commento splendido. A Saramago bisogna abituarsi. Dopo, non se ne può fare a meno.
    Io l’ho conosciuto attraverso “Il vangelo secondo Gesù”, che una prima volta non seppi apprezzare e che, ripreso una seconda volta, mi piacque tantissimo, proprio perchè privo di ogni tipo di apologia e ricco di appassionata pietà non solo per l’assurda strage degli innocenti, ma per tutti i personaggi che partecipano agli avvenimenti rappresentati, incluso Gesù. L’approccio ai fatti è ovviamente quello dell’ateo comunista che nulla concede al trascendente ma quasi lo supera nell’immanenza di ” un umanesimo spirituale”, se l’espressione non sembrasse un controsenso.

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