Ho letto “Le passeggiate del sognatore solitario” di Jean-Jacques Rousseau

Che cosa c’è da stupirsi se amo la solitudine? Vedo soltanto rancore sui volti degli uomini, mentre la natura mi sorride sempre.
Sia che lo si chiami Le passeggiate del sognatore solitario o Le fantasticherie del passeggiatore solitario, più aderente all’originale francese Rêveries du promeneur solitaire (a seconda delle edizioni), la sostanza non cambia: l’importante è il concetto della passeggiata. Solitaria.  La passeggiata da solo mi affascina, è nel mio dna. Mi rifaccio a quel grande passeggiatore che è stato W.G. Sebald e ai suoi insegnamenti – come e perché passeggiare – contenuti in tanti libri come Gli anelli di Saturno, ad esempio. Ha poi dedicato un intero libro a Robert Walser (Il passeggiatore solitario) che a sua volta ci ha lasciato il mirabile racconto La passeggiata. E infine Sebald si è occupato di Rousseau in un capitolo di Soggiorno in una casa di campagna, in cui troviamo il filosofo che si nasconde dai suoi nemici sul lago di Bienne (Svizzera) e precisamente nell’Île Saint-Pierre. Era ovvio che dovessi finire questo excursus, e chiamiamola pure passeggiata letteraria, con le fantasticherie autobiografiche di Rousseau. L’opera è l’ultima scritta dal ginevrino (tra il 1776 e il 1778), si è interrotta con la morte alla decima passeggiata e pubblicata postuma.
In verità le digressioni sono tante e riguardano diversi aspetti della natura dell’uomo, sono solo alcune quelle riferite a passeggiate in luoghi concreti. Nella prima passeggiata si presenta così: Eccomi dunque solo sulla terra, senza più fratelli né prossimi, né amici, né altra società che me stesso. Il più socievole e amante degli umani, ne è stato proscritto  per unanime accordo. Sembra quasi l’unico sopravvissuto al coronavirus. Vecchio ormai, in realtà aveva solo 66 anni, Rousseau si prepara alla resa dei conti che arriverà dopo pochi mesi. Da anni si considera un perseguitato e le sue elucubrazioni riguardano la cattiveria umana, con alcune perle di buon senso come questa: I singoli muoiono, ma i corpi collettivi non muoiono mai. Sempre in questo primo capitolo anticipa che nei successivi terrà un registro fedele delle sue passeggiate quotidiane. Da Ménilmontant a Charonne (Parigi) è vittima di un incidente che gli rovina qualche dito, nello stesso capitolo è assillato da una scrittrice petulante che vuole sottoporgli i suoi scritti. Alla vecchiaia è dedicata la passeggiata successiva. Citando Solone (divento vecchio imparando sempre) attribuisce alle avversità le migliori lezioni avute dalla vita, ma pagate a caro prezzo. I vecchi sono più attaccati alla vita dei bambini e ne escono con più mala grazia dei giovani, riflette. Studio della natura (Rousseau era stato un appassionato raccoglitore di erbe) e contemplazione dell’universo sono temi ricorrenti, così come la felicità, la rettitudine e la franchezza: tacere una verità che non si è obbligati a dire non è mentire; ma colui che, in tal caso, non si accontenta di tacere la verità, e dice il contrario, mente o non mente?, disquisisce sulla differenza tra menzogna e finzione.
Le passeggiate al lag0 di Bienne sono quelle più descrittive, sponde selvagge con rocce e foreste, poco percorse dai viaggiatori, un silenzio rotto soltanto dallo sciabordio dei remi delle barche. Verrebbe voglia di partire e restarci. Nell’isola di Saint-Pierre Rousseau quindici anni prima aveva trovato ospitalità nell’unica fattoria esistente, approfondendo la sua passione per la fitoterapia. Ora cerca la quiete e un moto moderato e costante, senza accelerazioni né pausePriva di movimento, la vita non è che letargia. Nella sesta passeggiata l’incontro con un bambino sciancato lo fa riflettere sul fare del bene liberamente e senza costrizioni, altrimenti diventa come pagare un debito. Elogio della gratuità dei comportamenti: Si dice che in Olanda il popolo si faccia pagare per dirvi l’ora e per indicarvi la strada. Ben miserabile popolo quello che mercanteggia così i doveri più semplici dell’umanità.
Le passeggiate si interrompono il giorno delle Palme del 1778 mentre Rousseau si accinge a scrivere di una donna, Madame de Warens, una nobile francese che era stata sua benefattrice. Negli anni della gioventù del filosofo si era occupata della sua educazione spirituale, artistica e non solo. Lei aveva ventotto anni, lui sedici.
Pensai che una buona provvista di talento fosse la risorsa più sicura contro la miseria, e decisi di dedicare il mio tempo a mettermi in condizione, se fosse stato possibile, di restituire un giorno alla migliore delle donne l’assistenza che ne avevo ricevuta. Queste sono le ultime parole della decima passeggiata.
Non mi sono mai dilettato di filosofia, ma in questo piccolo trattato il paranoico, misantropo, ossessionato, solitario Rousseau restituisce alla passeggiata la dimensione del sogno. O viceversa? In fondo, si può viaggiare anche solo con il pensiero.
Talvolta i miei trasognamenti finiscono con una meditazione; più spesso però sono le mie meditazioni a finire in un trasognamento.

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