Ho letto “Marie la strabica” di Georges Simenon

Due ragazze di Rochefort (Charente Maritime) si ritrovano nel 1922 a fare la stagione in una pensione di Fouras, una spiaggia sull’Atlantico tra La Rochelle e Oleron, di fronte all’Île-d’Aix. Hanno diciassette anni e i sogni della loro età: partire al termine dell’estate e andare a cercare fortuna a Parigi. Sylvie è procace, spregiudicata e attira lo sguardo degli uomini; Marie invece è strabica, bruttina e impaurita dal mondo. Nonostante le differenze sono rimaste amiche dall’infanzia, però Marie ha sempre avuto un ruolo subalterno rispetto alla compagna, caratteristica rimasta tale anche nell’adolescenza. Uno scherzo di cattivo gusto di Sylvie provoca il suicidio di Louis, un ragazzo un po’ ritardato che fa dei lavoretti per il proprietario della pensioncina. Il tragico fatto determina una piccola frattura nella loro amicizia, ma Sylvie è sempre molto determinata a raggiungere i suoi obiettivi, conquistare Parigi e uscire definitivamente dalla povertà. Quasi sotto gli occhi dell’esterrefatta amica, prima che l’estate termini, cede alle avance del titolare e avvia una relazione con un imprenditore parigino in vacanza a Fouras con moglie e figli. È il contatto di cui avrà bisogno quando sarà a Parigi in autunno.
“Ti sei già dimenticata perché siamo qui?”. “Per guadagnare un po’ di soldi e andare a Parigi”. “Hai cambiato idea?”. “Perché dovrei aver cambiato idea?”. “Non lo so, me lo chiedevo”. “Ti chiedevi se ero sempre pronta a partire con te?”. “Mi odi?”. “No”. “Ma pensi che sono una scostumata senza cuore”. 
Nella capitale Sylvie e Marie dividono una camera in un alberghetto e le loro giornate divergono subito. Marie trova lavoro come cameriera in un modesto bistrot ed è subito apprezzata per la buona volontà e benvoluta dai proprietari, ma è continuamente angariata da Sylvie che invece segue le sue scorciatoie verso il ‘successo’. Ben presto il sodalizio si rompe e ognuna prosegue per la propria strada.
Si ritrovano nel 1945 durante la Parata della Vittoria sugli Champs Élysées, è solo un attimo, si riconoscono in mezzo alla folla e si perdono nuovamente. Dopo altri cinque anni un nuovo incontro. Sylvie è una donna ricca ed elegante, mantenuta da anni in uno splendido appartamento, giusto a portata di mano di un facoltoso commerciante che non ha mai avuto il coraggio di lasciare la famiglia. Marie è rimasta una donna modesta e retta, ha faticato come cameriera e donna di servizio e ora fa la badante dell’anziano oste che le aveva dato il primo lavoro a Parigi. Questa volta però è Sylvie a cercare l’amica e ad avere bisogno di lei. Marie ha messo da parte tutti i torti, anche malvagi, subiti oltre un quarto di secolo prima e si presta a tenderle una mano. La sudditanza tra le due è rimasta tale? Come dice un vecchio adagio, chi servo nasce, servo rimane. Ma pare che ad essere succube questa volta sia chi ha sempre agito da padrona.
Simenon ha scritto Marie qui louche durante la sua permanenza negli Stati Uniti nel 1951. Pubblicato l’anno seguente, tradotto da Mondadori nel 1964 e poi ripubblicato da Adelphi lo scorso anno. Bel romanzo sulla sudditanza psicologica tra amiche, trama avvincente, dialoghi asciutti. Curiosamente ci si ritrova nella Parigi del primo dopoguerra, con le sue piazze, i suoi boulevard, come fosse oggi.
“Ammettilo che mi odi!”. “No”. “Non fa niente. Dillo pure. Tanto non me ne vado”. Un giorno era stata Sylvie a chiederle: “E tu, quanto mi detesti?”. La Marie aveva ritenuto superfluo risponderle. 

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