“L’istante presente” di Guillaume Musso e quella porta aperta sull’ignoto

Ritengo che il faro sia una metafora della vita. Una metafora del destino, più esattamente. Ebbene, non si può lottare contro il destino.
Per anni ho visto in Francia, nelle vetrine delle librerie, le copertine dei libri di Guillaume Musso, cognome di chiara origine piemontese. Sapevo che era uno degli scrittori di best-seller tra i più venduti oltralpe, al pari di Michel Bussi. Ma mi domandavo cosa avessero di speciale i suoi libri. Finalmente mi sono accostato a uno di questi, nella fattispecie proprio l’ultimo pubblicato in Italia, nel 2019 presso La Nave di Teseo, traduzione di Sergio Arecco (l’originale, L’instant présent, è del 2015). Il mio giudizio resta sospeso, certo leggerò altri romanzi di Musso per farmi un’idea più precisa. Intanto questo non è un thriller, contrariamente a come viene pubblicizzato. Non ci sono delitti, non c’è sangue. Siamo piuttosto dalle parti del racconto fantastico e surreale (che avrebbe tanti padri, ma non mi soffermo), con una componente paranormale. Sarebbe insomma un bel caso da X-Files. Tutto ruota attorno ad una casa collegata ad un faro nella baia di Cape Cod (la toponomastica di Musso lascia un po’ a desiderare).
La casa ci apparteneva da tre generazioni. Mio nonno, Sullivan Costello, l’aveva comprata nel 1954 dalla vedova di un ingegnere aeronautico che se l’era aggiudicata a un’asta organizzata dal governo americano nel 1947.
Chi parla è il protagonista Arthur Costello, medico a Boston come il suo patrigno Frank Costello, che riceve in regalo il 24 Winds Lighthouse, il faro dei 24 Venti. Con un monito, mai aprire una certa porta metallica murata nella cantina. Cosa accadrebbe in caso contrario, Frank non lo dice (il nonno Sullivan la saprebbe lunga in proposito) ma tanto basta per incuriosire Arthur, infrangere il divieto e precipitare in un vortice di follia. Renderei un cattivo servizio a chi volesse cimentarsi con questo romanzo se raccontassi qualcosa di più. Posso solo dire che un personaggio fondamentale è proprio il nonno Sullivan: “Tra tutti i consigli che potrei darti, ecco il più prezioso, ragazzino: qualunque cosa ti accada, tieni sempre in serbo qualcosa per i momenti difficili. In previsione dei durissimi colpi che la vita non mancherà d’infliggerti”. A cui si aggiunge Lisa, cameriera in un bar di Manhattan e aspirante attrice (vedremo in seguito che tipo di carriera sarà capace di fare). Tra lei e Arthur scocca la scintilla che si protrae, tra alti e bassi, per tutti i 24 anni della narrazione, nonostante i terribili segreti che il ragazzo si porta dietro. Altro protagonista fondamentale del romanzo è il tempo che qui è molto peggio che tiranno.
La storia inizia nel 1991 e termina nel 2015 (anno di pubblicazione del libro). Il finale è così deludente da banalizzare tutto il resto. Riportare tutto alla normalità delle cose è un colpo basso per il lettore, mentre fino a poco prima è stata una lettura surreale e avvincente.
Come scrisse Shakespeare in un celebrato sonetto, peraltro qui citato insieme a molti altri poeti e scrittori:
…Amore è un faro sempre fisso
che sovrasta la tempesta e non vacilla mai;
è la stella-guida di ogni sperduta barca,
il cui valore è sconosciuto, benché nota la distanza.
L’ultima considerazione è su Frank Costello. Perché inserire un personaggio che ha il nome di un famigerato boss mafioso, realmente esistito. Non è una scelta casuale. Azzardo una ipotesi. Che Guillaume Musso sia un fan di un maestro del noir come era stato Jean-Pierre Melville e del suo polar più famoso, il film-cult del 1967 Frank Costello faccia d’angelo?

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