“Lettera di una sconosciuta”, un racconto da film

L’espediente della lettera ritrovata o ricevuta non è inconsueto in letteratura. Stefan Zweig lo applica per raccontare l’ossessione d’amore di una giovane donna per uno scrittore ricco e famoso. Costui, il giorno del suo compleanno, il quarantunesimo, riceve una lettera con l’intestazione “A te, che non mi hai mai conosciuta”. Più che una lettera è un lungo manoscritto-confessione di una donna che non rivela mai il proprio nome e che per anni ha accompagnato come un essere invisibile la vita dello scrittore. Il racconto è ambientato a Vienna.
La donna ha abitato da bambina con la mamma, povera vedova, nello stesso palazzo, sul medesimo pianerottolo dello scrittore, nel piccolo appartamento di fronte. Si è invaghita subito di quel giovane brillante, scrittore e amante del buon gusto e per anni lo ha  ammirato e osservato senza che lui se ne avvedesse. Rende bene il suo stato d’animo questo passaggio: Solo i bambini solitari possono tenersi stretta, tutta intera, la loro passione: gli altri disperdono il sentimento nelle chiacchiere, lo logorano con le confidenze; dell’amore hanno tanto sentito parlare, tanto ne hanno letto e sanno che è un destino comune. La fanciulla ammira i libri, gli oggetti raffinati che il domestico (l’unico che pare accorgersi di lei) trasporta nell’appartamento, i fiori che gli arrivano, invidia le numerose donne giovani ed eleganti che lo frequentano. Lo scrittore ha, seppure indirettamente, qualche influenza positiva su di lei, che gli scrive: Tu trasformasti, tutta intera, la mia vita. Fino allora apatica e mediocre a scuola, divenni d’un tratto la prima della classe, leggevo un’infinità di libri sino a notte fonda perché sapevo che tu amavi i libri; di punto in bianco – lasciando stupefatta mia madre – cominciai a esercitarmi al pianoforte con perseveranza, quasi con caparbietà, perché credevo che tu amassi la musica.
Ad un certo punto la madre sposa un benestante e la famiglia si trasferisce a Innsbruck. Per la fanciulla è un dramma, ma non si dà per vinta: non appena maggiorenne convince la mamma a lasciarla andare a cercarsi un lavoro a Vienna. E lì, ricomincia con la sua ossessione. Il resto non è raccontabile, pregiudicherebbe il piacere della lettura. Torno soltanto un attimo all’inizio della lettera in cui la sconosciuta si confessa: Ieri il mio bambino è morto – per tre giorni e tre notti ho cercato di strappare alla morte la sua piccola, tenera vita, per quaranta ore sono rimasta al suo capezzale mentre l’influenza scuoteva quel corpicino che bruciava di febbre. E più avanti: A te solo voglio parlare, per la prima volta ti dirò tutto: dovrai conoscere tutta la mia vita, che è sempre stata la tua e di cui tu non hai mai saputo nulla. Ma conoscerai il mio segreto solo quando io sarò morta e tu non dovrai più darmi risposte, quando questo gelo e questo ardore che mi scuotono le membra saranno veramente la fine.
Insomma, è un dramma, anzi, un drammone. Tanto è vero che Lettera di una sconosciuta (1922), tra i tanti romanzi e racconti di Zweig, sempre saccheggiati dal cinema, è quello che ha avuto il maggior numero di adattamenti in pellicola (forse  in assoluto nella storia del cinema, dove pure di ossessioni d’amore se ne sono viste tante). Stando a wikipedia, se ne contano ben nove tra il 1933 e il 2004, un po’ in tutte le lingue e c’è da credere che altri registi se ne occuperanno ancora. Quello di maggior successo resta Letter from an Unknown Woman (1948), diretto da Max Ophuls con Joan Fontaine e Louis Jourdan, divenuto un film cult del genere sentimentale.

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