“Il giardino delle delizie” è in realtà un inferno. L’Epopea americana di Joyce Carol Oates

Una massima diceva: più incidenti ti capitano, meno ne hai in serbo.
Sono approdato a Joyce Carol Oates avendo letto il suo racconto contenuto nella raccolta Ombre, a cura di Lawrence Block, diventata per me una miniera di spunti di lettura. L’incisivo racconto La donna alla finestra, ispirato come gli altri a un quadro di Edward Hopper, mi ha indotto a conoscere meglio la prolifica scrittrice newyorkese. Così sono partito dalla prima puntata della tetralogia dedicata all’Epopea Americana. Inizia sotto il sole dell’Arkansas, anni cinquanta e sessanta. Clara è figlia di due contadini che si spostano continuamente per cercare lavoro. Fanno parte di un gruppo che va a raccogliere frutta e verdura sotto le direttive di quello che da noi si chiamerebbe un ‘caporale’. Vita grama, nessuna speranza di piantare le radici da qualche parte. Clara, come gli altri fratelli, trascorre infanzia e adolescenza senza istruzione, in mezzo ai campi, con l’unica prospettiva di continuare il mestiere dei genitori, tuttavia coltivando un proprio spirito ribelle. Una cosa? Te ne posso dire una dozzina: so raccogliere i cazzo di fagiolini, so raccogliere i cazzo di pomodori, so raccogliere le cazzo di fragole, so raccogliere la cazzo di lattuga.
Questa è Clara. Tutto il libro racconta la sua vita, ma i capitoli in cui è suddiviso sono intitolati a degli uomini che nel male e nel bene hanno segnato la sua esistenza: Clarendon, Lowry, Revere, Swan. Il primo è il padre, gran lavoratore, ma manesco e ubriacone. Clara è la sua prediletta. Morta la mamma per l’ennesimo parto, cerca di impedire ogni tentativo di emancipazione della figlia, ormai adolescente. Devo dire che questo capitolo è il più interessante per i parallelismi con le situazioni che si vivono nei nostri campi del meridione: migranti come schiavi piegati in due sotto il sole rovente a raccogliere prevalentemente pomodori, ma anche altro, e poi caricati su carri bestiame, via verso altri stati del sud a faticare senza prospettive se non far fronte alle necessità quotidiane.
Contratto nuovo. Non era un lavoro da uomini. Raccolta a mano in mezzo ai campi. Lavoro da negri, e da ispanici.
Ma grazie a Lowry, un giovane affascinante conosciuto in un bar, riesce ad abbandonare la famiglia e la povertà. Insieme girovagano in lungo e in largo per gli Stati Uniti. Non si sa bene che lavoro faccia, ogni tanto la lascia, scompare per qualche tempo e ritorna. Soprattutto la rispetta e in un certo senso vuole che cresca e trovi istruzione e lavoro. La sistema così in una cittadina e le trova casa e un lavoro in un emporio. Clara gli è grata ed è innamorata di Lowry. Ormai non è più la tredicenne ribelle fuggita dai campi del sud. Però deve insistere per farsi toccare da Lowry, ma quando accade resta incinta e l’uomo scompare per sempre.
Subito mette gli occhi su di lei un certo Revere, più del doppio della sua età, sposato con tre figli, ricco possidente terriero. La seduce in tempo utile per consentire a Clara di fargli credere che il bimbo sia figlio suo. Revere le fa abbandonare il lavoro, la trasferisce in una piccola fattoria tutta sua e la circonda di attenzioni. Intanto tutta la gente mormora. Clara legge, si istruisce, alleva il figlio e si accontenta delle sporadiche visite del suo pigmalione. Revere attende la morte della moglie, da molti anni malata, poi senza perdere tempo sposa Clara e la porta con il figlio Swan nella sua casa principale. I suoi tre figli inizialmente sono ostili, ma Clara ci sa decisamente fare. Ormai ha studiato per diventare una signora!
L’ultima parte è dedicata a Swan, in realtà sarebbe Steven ma la mamma preferisce chiamarlo così. Il ragazzo è cresciuto bene, bello, istruito, ha delle qualità, non si è molto integrato con i fratellastri ma ha saputo metterli in ombra con i suoi successi scolastici.
In quella casa c’erano tanti non detti; era come correre su un terreno paludoso, potevi affondare il piede nelle sabbie mobili e finire lungo e disteso, di pancia.
La mamma stravede per lui, Revere lo guarda con ammirazione e poco a poco inizia a cedergli le sue attività, intravedendo in lui l’unico in grado di continuare a portare avanti l’impero di famiglia che spazia dall’agricoltura, al commercio, all’industria. Ma Swan porta dentro di sé i suoi demoni, le stigmate psichiche di Clara, vissuta tra violenza e povertà, la casualità dell’esistenza, l’incertezza sulle sue stesse origini (concepito fuori dal matrimonio). A proposito, nessuno saprà mai che è figlio di Lowry. Così il ragazzo nonostante gli indiscussi successi di carriera manifesta i sintomi dell’autodistruzione, vanificando il ‘sogno americano’ della mamma. Clara è una grande figura di donna alla ricerca del suo giardino delle delizie, ma quando crede di averlo conquistato si rende conto che è molto simile all’inferno da cui è fuggita.
Il titolo del romanzo è ispirato al famoso dipinto di Hieronymus Bosch, The Garden of Earthly Delights.
Una biblioteca è un mausoleo: libri dei morti. Non aveva tempo per tutto e se non poteva fare tutto allora non c’era motivo di fare nulla.
Da leggere presto anche I ricchiLoro e Il paese delle meraviglie.

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