“Lo specchio delle nostre miserie”, quando la storia è a servizio del romanzo

In tempo di guerra, è più importante un’informazione rassicurante che un’informazione giusta.
Termina con questo romanzo la trilogia ambientata nella Francia tra le due guerre, iniziata con Ci rivediamo lassù e proseguita con I colori dell’incendio. Lo si può leggere tranquillamente senza aver letto i precedenti perché i legami tra un libro e l’altro sono alquanto esili. Il filo conduttore nella trilogia è semmai il clima di sconfitta morale e sociale nella Francia di allora acuito qui dalla débâcle nazionale con l’arrivo delle truppe del Reich a Parigi. E’ la metà del 1940, la giovane Louise Belmont arrotonda lo stipendio da maestra servendo ai tavoli nei fine settimana al ristorante Petite Bohéme proprio di fronte a casa sua. Ogni sabato a pranzo si siede sempre allo stesso tavolo un anziano medico, il dottor Thirion, cliente ventennale dell’oste Monsieur Jules. Un giorno il vecchio prende coraggio e dice a Louise che vorrebbe vederla nuda e nient’altro, anche pagando una buona cifra. Spaventata, imbarazzata, la ragazza prende tempo e poi accetta chiedendo in cambio diecimila franchi. Occorre dire che sono tempi bui, l’incertezza è grande, con le truppe tedesche ormai alle porte della Francia. L’incontro avviene nella stanza di un albergo che Thirion ha frequentato a lungo in passato. Louise si cautela portando nella borsa un coltello da cucina. Ma tutto avviene tranquillamente, si spoglia lentamente in piedi (sembra quasi una visita medica) mentre Thirion è seduto sul letto, ma quando gli volta le spalle l’uomo estrae una pistola e si spara alla testa. La ragazza scappa nuda per strada, lo scandalo è grande, il medico aveva moglie e figlia ed era stimato da tutti. Un giudice cerca di incastrarla accusandola di prostituzione ma il capo d’accusa cade quasi subito, mentre quello per un’eventuale estorsione si risolve perché la vedova non intende sporgere denuncia. Ma ciò che ha scoperto esserci stato tra sua madre e Thirion continua a tormentare Louise.
Parallelamente seguiamo le vicissitudini di due soldati, il sergente Gabriel, insegnante di matematica nella vita civile, e il caporal maggiore Raoul Landrade. Il primo, onesto servitore della patria, l’altro un poco di buono che sotto le armi ha trovato terreno fertile per i suoi loschissimi traffici. Entrambi sono impegnati in una fortezza sulla linea Maginot, dove non accade nulla fino all’arrivo dei tedeschi. Poi devono ripiegare, ma l’esercito francese è male equipaggiato e i soldati sono presto allo sbando. Il buon Gabriel è succube dell’esuberante sottoposto e insieme iniziano un percorso a ritroso che è anche un continuo sciacallaggio delle case abbandonate. Presto vengono individuati e rinchiusi come disertori in un campo di detenzione francese.
In realtà, Gabriel era un ragazzo piuttosto timoroso, poco incline agli atti di coraggio, che però raramente si tirava indietro di fronte al pericolo e provava un oscuro piacere nelle situazioni che lo spaventavano di più.
E ancora seguiamo la guardia mobile Fernand (una tipologia di soldati esistente nell’organizzazione militare francese) e sua moglie Alice. Lui lascia Parigi dopo aver assistito come scorta ad un fatto veramente accaduto: la distruzione della carta moneta dello Stato francese per impedire che miliardi di franchi finissero in mano tedesca. L’onesto Fernand ne nasconde un pacco prima della distruzione. Sogna di sistemarsi per sempre con sua moglie una volta terminata la guerra. Intanto viene inviato allo stesso campo dove sono internati Gabriel e Raoul. Migliaia di detenuti (delinquenti normali, politici, spie, disertori) devono essere scortati verso una nuova destinazione più a sud prima dell’arrivo dei crucchi.
Ma il personaggio più inquietante e anche divertente è Désiré Migault. Lo ritroviamo dappertutto e in vesti sempre diverse. Un truffatore trasformista che ricorda Leonard Zelig, il camaleontico mitomane del film di Woody Allen. Désiré di volta in volta avvocato, chirurgo, pilota d’aereo, poliglotta speaker ufficiale del ministero della guerra, infine è nella tonaca di un parroco che trova la sua redenzione, diventando predicatore, attento agli ultimi, insomma quasi un santo. Anzi, di più, perché un minuto prima di essere nuovamente scoperto si trasforma in un vero partigiano ed eroe di guerra.
Ebbene, tutto questo caravanserraglio nel finale del romanzo si ritrova attorno a una cappella sconsacrata a sud di Orléans dove si sono raccolti centinaia di sfollati dalle città. Ormai Parigi è conquistato dai tedeschi, pare che sulla Tour Eiffel sventoli la svastica. L’esodo da Parigi è descritto in pagine accorate che ricordano quelle di Irène Némirovsky. Lì ci saranno finalmente incontri, riconoscimenti, scoperte, agnizioni e ogni personaggio della storia troverà la giusta ricompensa sotto forma di ciò che cercava o intendeva scoprire. Il romanzo si apre il 6 aprile e si conclude il 13 giugno.
Un po’ troppo buonista il romanzo di Pierre Lemaitre, che tuttavia affascina e cattura il lettore come fosse un thriller, mentre invece è dramma personale, tragedia nazionale, melodramma e si conclude in farsa con questo Désiré Migault, destinato a rimanere impresso a lungo nella nostra memoria.

Ci rivediamo lassù (Au revoir là-haut), Albin Michel, 2013; Mondadori, 2014
I colori dell’incendio (Couleurs de l’incendie), Albin Michel, 2018; Mondadori, 2018

Di Pierre Lemaitre è anche la trilogia del commissario Verhoeven
Irène (Travail soigné), Editions du Masque, 2006; Mondadori, 2015
Alex (Alex), Albin Michel, 2011; Mondadori, 2012
Camille (Sacrifices), Albin Michel, 2012; Mondadori, 2015
con l’appendice del racconto Rosy & John; Mondadori, 2013

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