Ho visto “The Woman in Black”

Alla sua prima uscita da attore ‘adulto’, il giovane Daniel Radcliffe non riesce tanto bene. E’ difficile per lui, anche se si è fatto crescere un filino di barba, far dimenticare di aver interpretato per oltre un decennio il maghetto Harry Potter e di essere sostanzialmente cresciuto con lui. Tanto più che il genere scelto per il suo secondo esordio, un film ‘gotico’ più che ‘horror’ come “The Woman in Black”, richiederebbe interpretazioni molto più pregnanti.
Radcliffe presta la sua faccia bambocciona ad un giovane avvocato, Arthur Kipps, vedovo e con bimbo di quattro anni a carico. Siamo nell’Inghilterra di inizio ‘900. Kipps viene inviato dallo studio presso il quale lavora – (“siamo uno studio di avvocati, non un’istituzione benefica!”) – a risolvere una pratica legata a una proprietà da lungo tempo invenduta e attorno alla quale ruotano leggende strane. Il giovane tenta di stabilirsi per qualche giorno nel villaggio in questione, ma si scontra con l’ostilità della gente che vi abita. La magione abbandonata è situata in un’isoletta raggiungibile soltanto a bassa marea dove nessuno vuole avventurarsi. Effettivamente il luogo è sinistro e respingerebbe chiunque, non il nostro ‘maghetto’ che dimostra coraggio oltremisura. La casa nasconde il segreto di un bambino di sette anni affogato nella palude e mai ritrovato e della mamma che si è impiccata per la disperazione. Proprio lo spirito della donna, vestita di nero, appare e scompare agli abitanti del villaggio, da tempo alle prese con continue disgrazie che colpiscono soprattutto i bambini.
L’avvocato Kipps non si dà per vinto e si ferma nella polverosa e scricchiolante dimora alla ricerca di documenti che possano chiarire, con il lume della ragione, i misteri che la avvolgono, senza lasciarsi spaventare troppo da giocattoli e carillon meccanici che si mettono in funzione da soli, da scritte rosso sangue che appaiono sui muri e neppure dalle apparizioni della “woman in black”. A dargli supporto è soltanto un signore del luogo, Mr. Daily, a sua volta già vittima della dolorosa morte di un figlioletto.
Chi sobbalza invece è lo spettatore (qualche brividino lungo la schiena è toccato anche a me nella sala poco affollata dove ho assistito alla proiezione). A dispetto della giovane età, il regista James Watkins ha imparato bene le lezioni sul cinema horror e utilizza in modo appropriato i “ferri” del mestiere. Pochi dialoghi, lunghi silenzi interrotti da rumori sinistri, paesaggi brumosi e inquietanti, andamento lento giusto, quanto basta per far crescere la tensione.
Accanto a Daniel Radcliffe (la strada per affrancarsi da Harry Potter è ancora lunga, ma apprezziamo l’intenzione…) spicca l’irlandese Ciaràn Hinds, una maschera giusta per questi film, mentre si fa notare Janet McTeer, già apprezzata candidata all’Oscar per “Albert Nobbs”.
Un film per chi ama il genere “de paura”.

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