Ho letto “Patrimonio” di Philip Roth

Il sottotitolo – una storia vera – la dice lunga sulle intenzioni dello scrittore: mettere in scena se stesso e i suoi affetti, questa volta senza nascondersi dietro alter ego inventati. Con grande sincerità Philip Roth porta sulla carta il dramma della vita, il lento declino fisico di suo padre Herman alle prese con la malattia. Herman Roth, vivace ex assicuratore in pensione, ha 86 anni quando gli viene diagnosticato un tumore al cervello, in un primo tempo scambiato per un ictus che gli ha provocato una leggera paralisi del viso. Philip decide così di accompagnare il padre nel lungo calvario che lo attende, fatto di ansia, di trepidazione, di consulti medici, di umilianti defaillance fisiche. Lo conduce quasi per mano ma facendosi da parte – lui scrittore affermato in tutto il mondo – per lasciare emergere la prorompente personalità del padre che vuole raccontare il proprio passato. Lo conforta, lo incoraggia, gli sottopone con tatto e sensibilità il testamento biologico (che il padre sbrigativamente accetta), lo lava quando si sporca e pulisce accuratamente e disinfetta il bagno pieno dei suoi escrementi. E’ qui che Philip Roth, in un momento di grande sconforto, trova il titolo per il suo breve romanzo. Molti genitori lasciano ai figli grandi ricchezze, a me – dice – è toccato un patrimonio di merda.
E poiché i problemi non arrivano mai soli, Philip, cinquantaseienne, è colto da infarto e operato di bypass quintuplo mentre il padre è in ospedale. Lo deve lasciare solo per cinque settimane, durante le quali gli fa credere di essere in Europa a tenere delle conferenze. A proposito, c’è anche un veloce passaggio su Torino e sull’amicizia che legava Roth a Primo Levi.

In copertina pubblica una foto che lo ritrae bambino con il padre e il fratello e commenta:
È l’agosto 1937. Abbiamo quattro, nove e trentasei anni. Ci drizziamo verso il cielo formando una V, di cui i miei sandaletti sono la base appuntita e le spalle larghe di mio padre – tra le quali è perfettamente centrata la faccia furba da folletto di Sandy – le due imponenti terminazioni della lettera. Sì, quella che spicca sulla fotografia è la V di Vittoria: di Vittoria, di Vacanza, di retta e distesa Verticalità! Eccola, la linea maschile, intatta e felice, in ascesa dalla nascita alla maturità!

In fondo è questo il vero patrimonio.
E’ stato scritto nel 1991, pubblicato da Einaudi nel 2007.

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