Storia di un aneurisma

Ho risolto tutto in un mese e mezzo. Dal primo ecodoppler che evidenziava una crescita abnorme dell’aneurisma all’aorta addominale alle dimissioni dall’ospedale. Già, l’aneurisma dell’aorta addominale o AAA, malattia dei nostri tempi, la 13ma causa di morte negli Stati Uniti con 15mila decessi all’anno, e non so in Italia come siamo messi.
Caratteristica epidemiologica degli aneurismi addominali è la netta predominanza maschile, da 3 fino ad 8 a 1, nelle varie casistiche. OK, ci siamo. Aterosclerosi, ipertensione e fumo di sigarette sono state coinvolte nell’ eziologia dell’aneurisma addominale (otto volte più frequente nei pazienti fumatori rispetto ai non fumatori). In cura da sempre per il colesterolo, da qualche anno ho trovato la statina giusta e raggiunto quasi la perfezione, ho badato alle prime due cause. Quanto al fumo, beh….sono in imbarazzo perché non ho mai fumato e ho condotto nella mia vita tante di quelle battaglie contro il fumo passivo!
Ma andiamo oltre. Un’ alta incidenza di aneurismi dell’aorta addominale (69%) è stata riscontrata nelle famiglie nelle quali una madre era affetta dalla stessa patologia. Grazie mamma, la tua esperienza mi è stata utile anche in questo campo. I pazienti con aneurismi presentano con maggiore frequenza il gruppo 0. Bingo! E poi l’età: l’AAA colpisce il 3-6% della popolazione tra i 65 e i 74 anni. Dunque sono maledettamente in anticipo.
Coltivavo con pazienza e con una certa apprensione il mio aneurisma da 15 anni. Da quando mi ero sottoposto ad uno di quei check up stupidi che si fanno quando uno sta bene per sentirsi dire che sta ancora meglio e che le prospettive di vita sono pressoché infinite. Allora aveva un calibro di 2,8 cm, quando la normalità è 1,5-2 cm. Gli aneurismi si ingrandiscono lentamente e progressivamente. L’ingrandimento medio annuale è stato stimato intorno ai 4 mm. Non mi restava dunque che attendere la sua evoluzione. Anno dopo anno, ecodoppler dopo ecodoppler, l’ho visto crescere fino a 4,2 cm. Poi si è fermato per qualche tempo e io pensavo che, raggiunta la soglia critica di 4 cm, si fosse in qualche modo fossilizzato. La sopravvivenza di un portatore di AAA di 4-5 cm a 5 anni va dal 17 % al 61%, a seconda delle statistiche. Stiamo parlando di una rottura non controllata dello stesso AAA, la cui mortalità è calcolata nel modo seguente: il 50% dei pazienti muore prima dell’arrivo in ospedale; il 24%dei pazienti muore prima dell’intervento; il 42% dei pazienti muore per complicanze post-operatorie fatali. In totale l’80% dei pazienti con aneurisma rotto dell’aorta addominale muore.
E siamo al 2010. A settembre il consueto ecodoppler annuale, fatto in un centro privato, è preoccupante, 5,2 cm. Ne faccio un secondo in ospedale e la diagnosi è ancora più feroce, 5,7. Occorre dire che c’è discrepanza tra macchina e macchina, per questo le misurazioni appaiono difformi. Ciò che taglia la testa al toro è la TAC che oltre a rilevarne le dimensioni esatte ne precisa anche la forma, fornendo le indicazioni necessarie per un intervento. Nel mio caso la foto a colori della TAC rivela una bella patata di 5,7 cm di diametro per 5 di lunghezza. L’indicazione al trattamento chirurgico si pone in genere oltre i 5,5.
Accantonata la suggestione dell’endoprotesi, un trattamento poco traumatizzante per il paziente perché prevede il posizionamento di una protesi all’interno dell’aorta passando dall’arteria femorale o iliaca, in genere indicato per le persone molto anziane e non in grado di reggere fisicamente un intervento chirurgico con i rischi connessi all’apertura dell’addome, non restava che scegliere la struttura in cui effettuare l’intervento. Da sempre sono per la sanità pubblica – checché se ne dica -, e ad essa mi sono affidato. Tutto è filato per il meglio, d’altronde l’intervento in elezione è considerato di routine e comporta pochissimi rischi di complicanze, e dopo 36 ore mettevo i piedi giù dal letto. Recisa la parte di aorta malata e sostituita con un impianto in dacron (chi naviga a vela sa cos’è, polietilene tereftalato, praticamente indistruttibile), il problema è del tutto risolto.

La mia storia si presta ad alcune considerazioni. Intanto ritengo che sia dovere del giornalista di testimoniare, anche quando la testimonianza riguarda se stesso, senza infingimenti né pruderie, senza trincerarsi dietro i dati sensibili, ed è quello che ho cercato di fare senza alcuna pretesa di scientificità attingendo però all’abbondante letteratura medica esistente in proposito.
In secondo luogo la prevenzione. Oggi il tema centrale è la prevenzione della morte dei pazienti nei quali un aneurisma non diagnosticato giunge alla rottura. Tuttavia è impensabile ricorrere a screening di massa senza portare al collasso le istituzioni sanitarie. Resta la prevenzione spicciola, ma non meno efficace, fatta individualmente valutando con il proprio medico i fattori di rischio.
Infine per ciascuno di noi viene il momento in cui occorre fare i conti con le malattie di famiglia. Quelle che involontariamente ci portiamo dietro dalla nascita perché probabilmente già iscritte nel codice genetico. Inutile nascondere la testa come fa lo struzzo: è reale la possibilità di sviluppare le stesse malattie dei nostri genitori. Come scrive acutamente lo scrittore ebreo americano Philip Roth in “Patrimonio”, il lascito più significativo dei nostri genitori è ben altro rispetto ai beni materiali che ereditiamo……
Nel mio caso ho già sperimentato i bypass coronarici, come mio padre, e l’aneurisma all’aorta addominale di mia madre. Non si può scappare, ma si può tentare di attutirne o ritardarne l’impatto rivedendo le impostazioni della propria vita.

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