“Non leggete i libri, fateveli raccontare”, Bianciardi insegna a diventare intellettuali

Questo librino è stato un successo al Salone del Libro di Torino di quest’anno. Chi passava allo stand Neri Pozza era subito attratto dal titolo, poi il nome di Luciano Bianciardi, autore scomodo e non allineato all’establishment culturale dell’epoca, ha fatto il resto. Gli scritti contenuti nel libro risalgono al 1966 e furono pubblicati sul settimanale ABC, avviato da Enrico Mattei, già fondatore del quotidiano Il Giorno di Milano. Era un periodico molto diffuso negli anni ’60 e ’70, stampato in bianco e nero, di tendenza anticonformista e scandalistica, tale da solleticare le prurigini del maschio di allora. E piaceva anche a noi ragazzini che affollavamo l’edicola sotto casa per occhieggiare se dalle pagine interne fuoriusciva una donnina discinta. In un giornale così, la firma di Luciano Bianciardi stava benissimo. Non si trattava propriamente di racconti, ma di lezioni, sei in tutto, pubblicate a puntate, dedicate ai giovani – ma non tutti i giovani, solo quelli particolarmente privi di talento, di media levatura, che auspicava, divenuti intellettuali, arrivassero il più in alto possibile. Bianciardi li intravvedeva nel ceto medio e mediocre, figli di una maestra e di un cassiere di banca, diplomati alle medie inferiori senza raggiungere la media del sette.
Un manuale di questo tipo andava scritto: norme chiare, precise, efficaci, a uso dei giovani che decidano di diventare intellettuali.
Bianciardi chiarisce subito che bisogna restringere il campo, intellettuale non è semplicemente chi non fa un lavoro manuale, altrimenti nella categoria rientrerebbero tutti, dal prete al portalettere, su su fino a Benedetto Croce. Poi entra nel paradosso. È meglio non raggiungere la laurea, essere iscritti per quattro anni all’università sì però, fa figo e non impegna. Mentre la laurea costituisce un limite, essendo una specializzazione. Meglio impiegare il tempo frequentando secchioni, quelli che leggono molto, libri e riviste, e che fanno sfoggio del loro sapere. Da questi si impara molto.
Non occorre che il Nostro abbia idee politiche precise, si tenga anche qui nel vago. E passa in rassegna i politici del tempo, Malagodi, Togliatti, La Malfa, Nenni, Moro, Fanfani. Un fritto misto di opinioni politiche, secondo Bianciardi, può bastare per le innocue conversazioni serali, insieme a sesso e sport, naturalmente. Dissimulare, non prendere posizione in nessun campo, neppure sul tifo per una squadra, lasciando esporsi gli altri.
Non mancano poi i consigli per accasarsi, l’autore esamina tutte le possibilità, comprese quelle più ambigue, in una divertente lezione intitolata La tecnica matrimoniale di Lady Chatterley. Sposare la figlia del padrone è sempre un’ottima soluzione. L’uomo destinato al successo in ufficio non va, ci passa. Evita impegni di lavoro che lo costringano a timbrare cartellini o comunque a rispettare orari. E così il nostro intellettuale è in porto.
Sono passati più di cinquant’anni da queste lezioni. Dove cercherebbe oggi Bianciardi i suoi potenziali intellettuali? Forse tra gli hikikomori, sicuramente tra i Neet (Not in Education, Employment or Training). Servirebbe un manuale di questo tipo, aggiornato ai tempi odierni, per salvare i giovani mediocri (ma anche gli altri, i cervelloni, i geniali e i genialoidi) da un’esistenza mediocre, avviarli alla scalata dell’Elicona.
Forse però l’intelligente ironia di Luciano Bianciardi oggi non sarebbe capita. Sarà che sono datato, ma questa lettura mi ha divertito. Farò un test su mio nipote diciassettenne.

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