Ho letto “Sunset Park” di Paul Auster

Da che il mondo esiste è il rapporto con il padre che governa le nostre vite. Poco o tanto vale per tutti. A maggior ragione anche quando il padre non c’è più e tanti aspetti di questo rapporto sono rimasti irrisolti. La letteratura è piena di esempi e solo nelle ultime settimane mi sono imbattuto in 4 o 5 libri che affrontano, seppur in modi diversi, questo tema.
Non sfugge il bel libro di Paul Auster che colloco tra i migliori della sua produzione letteraria.
Miles Heller ha ventotto anni quando facciamo la sua conoscenza. Lavora per un’impresa che sgombera gli appartamenti abbandonati. Siamo nel sud della Florida e la crisi economica si è fatta sentire feroce anche lì. E’ come se la gente avesse lasciato le case quasi all’improvviso. I colleghi di Miles ne approfittano per appropriarsi di tutti gli oggetti abbandonati. Lui no, lui le cose abbandonate le fotografa soltanto. Vive con una studentessa minorenne e sono profondamente innamorati. Questo però gli crea problemi con una sorella di lei (la famiglia è di origine latinoamericana) che minaccia di denunciarlo se non gli procura oggetti di valore dai suoi sgomberi. Per sfuggire al ricatto Miles abbandona la Florida e si rifugia a New York, sua città d’origine, in attesa di ricongiungersi con la fidanzatina quando sarà diventata maggiorenne. Da New York manca da dieci anni, quando ha abbandonato l’università e fatto perdere le proprie tracce alla famiglia. Il padre Morris è titolare di un’avviata casa editrice, mentre la madre, affermata attrice di cinema e di teatro, lo aveva abbandonato quando era ancora in fasce.
Si rivolge all’unico amico con cui è rimasto in contatto, Bing, che insieme ad altri tre ragazzi vive a Brooklyn, in una casa occupata in una zona chiamata Sunset Park. In realtà Bing è a sua volta in contatto con i genitori di Miles e li tiene aggiornati fornendo loro le coordinate della sua vita. Per Miles il ritorno a New York significa affrontare i motivi che lo hanno spinto ad andarsene, principalmente il complesso di colpa derivante dalla morte del fratellastro da lui spinto al centro della strada durante un litigio proprio mentre sopraggiungeva un’auto.
Intanto facciamo la conoscenza con i tre simpatici squatter Bing, Ellen, Alice – il significato autentico di squatter è proprio quello di occupanti di case abbandonate – ognuno con le sue storie, i suoi problemi, le sue aspirazioni (rispettivamente cogliere il successo nella musica, nell’arte, nella letteratura). Così pure Auster ci fa conoscere da vicino il padre, la matrigna e la madre di Miles. Poco alla volta Miles si riavvicina a loro. Ricostruisce un rapporto con il padre e confessa quel senso di colpa che lo aveva indotto a fuggire.
Con una narrazione molto particolare Paul Auster dedica i capitoletti del romanzo alternativamente ai vari protagonisti, facendo avanzare in questo modo la storia, tutta raccontata al presente. Le vicende di Miles e di Morris Heller sono naturalmente le più approfondite: scopriamo l’infanzia del ragazzo, il rapporto con il padre e di questi la vita con i genitori. Nel romanzo c’è molta attualità: Auster ci infila anche il Nobel a Liu Xiaobo. Molte storie di baseball. Molta letteratura e molto cinema. Citatissimo I migliori anni della nostra vita, non la canzone di Renato Zero ma il film di William Wyler del 1946. “Suo padre gli manca di più. E’ abbastanza indurito per ammettere anche questo, ma suo padre ormai è morto da trent’anni, e lui ha passato metà della vita camminando a fianco del suo fantasma”.

Share this nice post:
Questa voce è stata pubblicata in Libri. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*