Le “Lettere” di Etty Hillesum, corrispondenze dall’orrore

Stamattina abbiamo ricevuto una cartolina postale da parte di Etty: «Abbiamo lasciato il campo cantando – i vagoni merci non sono poi tanto male». Questa cartolina è stata trovata lungo la ferrovia nei pressi di Nieuweschans.
Molto più del Diario di Etty Hillesum, commovente testimonianza della persecuzione nazista, sono le sue lettere a evidenziare la grandezza di questa giovane donna. La versione integrale delle Lettere 1941-1943 (Adelphi, 2013), scritte in gran parte dal lager di Westerbork, ci permette di focalizzare ancora meglio il suo lavoro in favore degli altri. Westerbork è stato un campo di transito dove venivano concentrati gli ebrei olandesi e altri perseguitati in vista del loro trasferimento ad Auschwitz. Nella testimonianza che ne dà Etty Hillesum, ogni martedì partiva verso est un lungo convoglio merci con un carico di oltre mille deportati.
Lei vi si rinchiuse quasi volontariamente dal 30 luglio 1942 fino al 7 settembre 1943. Prima di allora aveva fatto parte del Consiglio Ebraico, istituito dagli occupanti tedeschi, per gestire i rapporti con la comunità ebraica. In virtù di quell’incarico Etty poteva entrare e uscire dal campo per occuparsi di tutte le necessità degli internati. Poi gli spazi operativi a poco a poco si restrinsero fino allo scioglimento del Consiglio stesso e da quel momento divenne anche lei una internata. Insieme a tutta la sua famiglia. Mentre il Diario si arresta a ottobre 1942, Etty Hillesum ha continuato a scrivere le sue lettere fino al giorno della partenza per Auschwitz. In esse va direttamente al sodo, rinunciando agli aspetti intimi. Ad esempio, sfuma la figura di Julius Spier, chirologo e psicologo, per Etty più che un mentore, peraltro morto il 15 settembre 1942, proprio alla vigilia del suo ingresso a Westerbork. Nelle lettere spariscono i tantissimi riferimenti letterari presenti nel diario – sopravvive qualche citazione di Rilke, il suo poeta preferito – perché nel campo di transito si occupa di cose concrete, dell’aiuto al prossimo, di tentativi per evitare le deportazioni, anche solo di tenere alto il morale evitando negli altri l’apatia e l’insensibilità.
Tutta l’Europa sta diventando pian piano un unico, grande campo di prigionia. Tutta l’Europa finirà per disporre di simili, amare esperienze.
Delle circa ottanta lettere recuperate e riportate in questo libro dai curatori, mi soffermerei su tre in particolare. La n.23, scritta nel dicembre 1942 quando ancora poteva uscire da Westerbork e indirizzata a due sorelle dell’Aia. In essa cerca di raccontare la storia e il funzionamento del campo, già in funzione da quattro anni per ospitare internati tedeschi. È enorme, vi sono anche un manicomio, un orfanotrofio, una sinagoga, un ospedale, una camera mortuaria, una sala teatrale, delle manifatture, naturalmente le baracche e, da non credere, anche una prigione. Nella storia di Westerbork, scrive Etty, il capitolo più toccante è quello dedicato agli anziani. Dice orgoglioso uno di essi, il filo spinato è una mera questione di punti di vista, «Noi dietro il filo spinato? Sono piuttosto ‘loro’ a vivere dietro il filo spinato».
La lettera n. 48 è del luglio 1943 ed è indirizzata a Han Wegerif, un vedovo di Amsterdam presso cui ha abitato fino alla definitiva partenza per il campo. Per lui aveva svolto mansioni di governante in cambio dell’ospitalità e gli era rimasta affezionata. Scrive un lunedì sera, alla vigilia della partenza di un treno e poi il martedì di mattina. Alle sei del mattino hanno cominciato a caricare i vagoni merci vuoti, ora il treno sta per partire. …per quanto riguarda i miei genitori anche questa volta siamo riusciti a tenerli fuori dal treno. Etty, pur riconoscendo di essere dotata di scarsa diplomazia, lavora senza sosta e con ogni mezzo per ritardare la partenza delle persone che si rivolgono a lei.
La lettera n. 64, ancora indirizzata a Wegerif, è del 24 agosto 1943. È ancora un martedì. Descrive la facce della scorta armata in uniforme verde che accompagna il treno. Le ho osservate una per una, dalla mia postazione nascosta dietro una finestra, non mi sono mai spaventata tanto come per quelle facce. Fino all’ultimo non si sa chi entrerà nel treno. Questa volta sono 1020 ebrei, meno del solito, ma il campo ormai si sta svuotando. Un altro pezzo del nostro campo è stato amputato, la settimana ventura toccherà al prossimo pezzo, qui si vive così da più di un anno, settimana dopo settimana. Già centomila nostri correligionari olandesi si sfiancano sotto un cielo ignoto, o stanno imputridendo in una terra ignota. Non sappiamo nulla del loro destino. Forse lo sapremo presto perché quello sarà anche il nostro destino.
L’ultima lettera è del 7 settembre 1943, indirizzata all’amica Christine Van Nooten. Etty è seduta sul suo zaino in un vagone affollato. Ha la Bibbia in mano. Papà, mamma e il fratello Mischa sono alcuni vagoni più avanti. L’ordine della loro partenza è giunto inaspettato. Tocca all’amico Jopie Vleeshhouwe raccontare il giorno stesso in una lettera ai vecchi coinquilini di Etty ad Amsterdam le ultime concitate ore prima del viaggio.
La bibliografia su Etty Hillesum è sterminata.

Etty Hillesum, Lettere
Edizione integrale 1941-1943
Traduzione di Chiara Passanti, Tina Montone, Ada Vigliani 
Adelphi, 2013
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