Ho visto “La sorgente dell’amore”

Film dall’andamento un po’ lento ma non per questo privo di fascino. D’altra parte è una storia e non una verità, come recita una didascalia all’inizio della pellicola che si preoccupa anche di collocarla nel Maghreb o nella penisola arabica o comunque “dove cola una sorgente d’acqua e dove l’amore si rinsecca”. Quando l’ho visto avevo ancora in mente il film franco-libanese di Nadine Labaki, “E ora dove andiamo?”, di cui sul tema “donna/integrazione” è stretto parente. Soggetto tutt’altro che facile, ma Radu Mihăileanu lo tratta con le armi della commedia e con quella gradevolezza di cui ha dato prova in film importanti come “Train de vie” e “Il concerto”. Anche in questo villaggio le donne prendono in mano la situazione per ribaltare il rapporto con gli uomini. Dalla notte dei tempi tocca alle donne andare a prendere l’acqua alla sorgente in montagna, lungo un percorso in salita e tutt’altro che agevole, mentre gli uomini sono intenti a bere, fumare, giocare a carte. Inizialmente divise ma sollecitate da una di loro, Leila, che assume le vesti della ‘pasionaria’, aiutata dall’anziana madre di un giovane integralista, le donne del villaggio attuano lo sciopero dell’amore per indurre i loro mariti a realizzare un acquedotto che porti l’acqua al villaggio. Idea tutt’altro che nuova e che risale addirittura alla commedia greca antica. Qui però si tratta anche di dare alle Scritture un’interpretazione più favorevole alla donna, impresa ardua ma, nel villaggio da fiaba di Radu Mihăileanu, possibile. Lieto fine, dunque: arriva l’acqua al villaggio e l’amore, come l’acqua, riprende il suo corso. Per questo è più evocativo, e anche più incisivo, il titolo originale, “La source des femmes”.
E’ molto bella la location, un villaggio incastonato in una collina pietrosa da qualche parte in Marocco. Colpiscono le scene collettive in cui le donne, radunate per lavare o portare l’acqua, ascoltano i racconti sotto forma di canto della più anziana di loro, la “Vecchia Lupa”, come pure le danze e i costumi. Imperdibili i volti, tra cui spicca la palestinese Hiam Abbas, già protagonista di “Miral”, “Il giardino dei limoni” e interprete di altri film come “L’ospite inatteso” di Thomas McCarthy e “Il mio amico giardiniere” di Jean Becker.
Cinema etnico ma a vocazione internazionale, ancora tutto da scoprire.

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