“Viaggio intorno alla mia camera” nella Torino di Xavier de Maistre

Il piacere che si prova viaggiando nella propria camera è immune dalla inquieta gelosia degli uomini e non è legato alla fortuna.
Il romanzo di Xavier de Maistre è tornato in auge tre anni fa in periodo di lockdown, stante il confinamento forzato di ognuno in poche stanze. Ma in oltre cento anni non si era mai perso il gusto di leggere Voyage autour de ma chambre, pubblicato per la prima volta nel 1794 e poi in decine di altre edizioni. Anche quello dell’autore, ufficiale savoiardo, è un restringimento coatto, dovuto a una condanna di quarantadue giorni per un duello d’onore da scontare agli arresti domiciliari. E 42 sono i capitoli in cui de Maistre discorre con se stesso scoprendo le tante piccole cose che si possono trovare nella stanza di ognuno. Una stanza quadrata, 36 passi per lato, in cui sono presenti mobili, quadri, poltrone, oggetti vari, l’autore la percorre in lungo, in largo e in diagonale e con una serie infinita di varianti. Per ogni oggetto presentato, de Maistre avvia delle divagazioni, racconta aneddoti, cita filosofi, scrittori, musicisti, pittori.
La mia camera è situata al 45° di latitudine. Cioè a Torino e questo ne fa motivo di interesse, almeno per il sottoscritto. Presto apre una dissertazione – premette, dedicata solo ai metafisici – in cui distingue nell’uomo l’anima e la bestia. L’anima, va da sè, lo porta a scoprire il sublime nelle cose, nei paesaggi, in un bel viso, nella natura. Per contro la bestia è il corpo, de Maistre cerca di mantenerle separate, ma queste battibeccano continuamente. Apprendiamo che con lui ci sono due presenze ‘vive’, la cagnetta Rosina e il domestico Joannetti. Alla bestiola dedica un capitolo intero.
La mia cara Rosina, che non m’ha mai fatto offerte di servitù, mi rende il più gran servizio che si possa rendere all’umanità; nel passato mi ha amato, e ancor oggi mi ama. Per questo, l’amo, e non ho timore di dirlo, con una parte di quello stesso sentimento che concedo ai miei amici. E poi, dite pure quel che vi pare.
Joannetti è stato per anni il suo attendente fedele durante la guerra. Ha imparato a distinguere presto tra i vezzi di Madame (l’anima) e le incoerenze dell’altra (la bestia).
Se il lettore riflette al comportamento del mio domestico, potrà convincersi che in certe situazioni delicate come la mia, la semplicità e il buon senso valgono assai più di uno spirito accortissimo.
Come detto, scrive di pittura e di musica, attribuendo alla prima una superiorità indiscussa. …il pittore lascia qualcosa dietro di sé; i suoi quadri gli sopravvivono e rendono eterna la sua memoria.
La musica invece, dice, è soggetta alla moda, un po’ come accade oggi. I pezzi di musica che commuovevano i nostri padri sono ridicoli per gli uditori dei nostri giorni e vengono catalogati tra le opere buffe per far ridere i nipoti di coloro che essi una volta facevano piangere.
Dedica un capitolo allo specchio, un altro a una rosa disseccata (l’andai a raccogliere io stesso nelle serre del Valentino), prosegue con le piacevolezze che procura il carnevale torinese, per contro c’è chi muore di freddo e di miseria. Scrive: …vorrei che si sapesse che in questa città dove si respira l’opulenza, nelle notti più fredde d’inverno, una folla di infelici dorme allo scoperto, la testa appoggiata a un paracarro oppure sulla soglia di un palazzo. Era fine ‘700, sembra venga descritta la Torino di oggi!
Un altro capitolo è dedicato alla sua biblioteca e a scrittori e poeti che gli fanno versare lacrime come se i guai dei personaggi fossero i suoi. Cita Omero, Virgilio, Milton, Richardson. In chiusura inventa un dialogo tra personaggi in quel tempo famosi e che dovrebbero dire qualcosa a noi torinesi, Gianfrancesco Cigna, ad esempio, e Claude Louis Berthollet. Indiscusso l’amore di de Maistre per Torino.
Vo a spasso sotto gli spaziosi portici di via Po; mille fantasmi piacevoli svolazzano davanti ai miei occhi.
Lettura fatta su un librino delle Edizioni Paoline, collana I Maestri, 1960, traduzione di Gennaro Auletta.

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