Ho letto “E adesso, pover’uomo?” di Hans Fallada

E’ una lettura illuminante, se fatta di questi tempi. Per le infinite analogie e i parallelismi con la situazione attuale: crisi economica, tasse, disoccupazione, povertà e via dicendo. L’unica distanza che ci vedo è l’impossibilità di una svolta autoritaria. Per il momento. Perché i critici, unanimemente concordi, vi hanno ravvisato – col senno di poi, naturalmente – i prodromi dell’avvento del nazismo.
Nei preziosi articoli introduttivi al volume, entrambi risalenti agli anni Novanta, ma ripresi dal curatore Mario Rubino in occasione della ripubblicazione del romanzo in Italia da parte di Sellerio, avvenuta nel 2008, Ralf Dahrendorf e Beniamino Placido si interrogavano se l’oblìo nel quale era caduta quest’opera di Hans Fallada non dipendesse proprio dagli imbarazzanti aspetti sociologici che sottendeva. Ovvero che da ‘gente’ come i due protagonisti, Johannes Pinneberg e Emma ‘Lämmchen’ Mörchel, onesti, modesti, pazienti, arrendevoli, sia germinato il nazismo. Sono ‘gente’ e non formano una ‘classe’ – sottolineano entrambi gli articoli – né proletariato né borghesia quindi, lavoratori sì, ma impiegati, “colletti bianchi che affettano superiorità e ingaggiano tremende battaglie intestine per questioni di status sociale”.
Dalla seconda di copertina della prima edizione italiana (Mondadori, collana Medusa, 1933). “In un mondo nel quale si possono contare circa venti milioni di disoccupati e in un paese dove la gioventù che esce dalle scuole si vede sbarrata ogni via e ogni occupazione proficua, la storia di un disoccupato diventa quasi simbolica e ci interessa di per sé”. Ecco l’attualità, sembra una frase scritta oggi!
Johannes è contabile in una ditta di cereali. Si sposa con Emma, famiglia di operai, proletariato comunista. ‘Lämmchen’ è il vezzeggiativo con il quale la chiama per tutto il romanzo. Significa ‘agnellino’ ed è già un sintomo del loro atteggiamento verso la vita. Abitano a Ducherow, paesino della Pomerania Orientale. Casa in affitto, i soldi bastano appena, ‘Lämmchen’ è incinta, Johannes perde il lavoro.
“…Una volta, forse, ce n’erano ancora un paio perbene….Ma oggi…con tutti i disoccupati che ci sono in giro e che devono cercare di sfangarsela, i padroni pensano: non saranno quelli che licenzio io a cambiare le cose!”.
Una mano inattesa arriva loro dalla vedova Pinneberg, la mamma, con la quale Johannes ha rotto i rapporti da tempo e che vive a Berlino facendo la bella vita, in tutti i sensi, perché dopo essere stata entraineuse tiene una casa di appuntamenti. Li ospita in una stanza e un amico procura al figlio un lavoro come commesso in un rinomato magazzino d’abbigliamento. Tuttavia lo stipendio è bassissimo, la concorrenza tra i colleghi è fortissima, i datori di lavoro sono delle vere iene. Quando il giovane arriva ad avere contezza di cosa accade a casa di sua madre rompe nuovamente i rapporti. La coppia trova rifugio in un magazzino di mobili, intanto la gravidanza prosegue e arriva finalmente il bambino. Molte pagine sono dedicate ai conti da far quadrare, all’economia domestica dei due. Johannes ha piena consapevolezza della sua condizione.
“E’ vero che mi danno del bellimbusto e mi chiamano proletario dal colletto duro, ma è roba passeggera. Oggi, soltanto oggi, ho ancora una paga, ma domani, oh, domani mi toccherà il sussidio….”. E poi ancora: “Se almeno fossimo degli operai! Quelli si chiamano compagni e si aiutano l’uno con l’altro…”
Infatti sul lavoro le cose non vanno bene: ai commessi vengono chieste quote di vendite che Pinneberg non raggiunge. Nuovo licenziamento e trasferimento in una capanna all’estrema periferia di Berlino. Anche politicamente Johannes è una via di mezzo, perché per lui la cosa migliore è non decidere da che parte stare. Così non gli resta che vivere la sua disoccupazione. Di fronte a una vetrina luccicante, capisce tutto: “…capisce che è tagliato fuori, che non appartiene più a quel tipo di mondo, che lo si caccia via a ragione: è scivolato giù, è finito a fondo, è spacciato. Ordine e pulizia: roba di una volta. Pane e lavoro sicuri: roba di una volta. Farsi avanti e sperare: roba di una volta. La povertà non è soltanto miseria, la povertà è anche un reato, la povertà è un marchio, la povertà è sospetta.”
Tremendamente attuale. “Kleiner Mann, was nunn?” uscì nel 1932 e fu un grande successo, tradotto subito in numerose lingue. Dove ‘Kleiner’ starebbe per ‘medio’ o ‘mediocre’ piuttosto che per ‘piccolo’, come invece lascia intendere la versione inglese ‘Little Man, What Now?’ dalla quale due anni dopo in America fecero un film di successo, regia Frank Borzage.
Sono ancora giovani, continuano ad amarsi, ah, forse si amano ancor più di prima, si sono abituati l’uno all’altra – ma su ogni cosa grava un’ombra scura, c’è forse da ridere per uno come noi? Come si fa a ridere, ridere di cuore, in un mondo come questo, in cui i responsabili dell’economia han potuto risanare se stessi, pur avendo commesso mille errori, e la gente che sta in basso viene umiliata e calpestata, pur avendo fatto sempre del suo meglio?
Chissà se Monti e Fornero hanno voglia di leggerlo o rileggerlo (sono certo che conoscono questo romanzo). Ma dovrebbero farlo in molti.

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