Ho letto “Capitano Alatriste” di Arturo Pérez-Reverte

Una conoscenza nuova, grazie al Salone del Libro di quest’anno che ha ospitato tanti scrittori spagnoli. Volendo celebrare a modo mio la letteratura iberica ho scelto questo scrittore e comprato il primo libro della saga del Capitano Alatriste. E’ costui un soldato e poi spadaccino nella Spagna del Seicento. Per quattro soldi mette la sua spada (e la daga o ‘biscaglina’) al servizio “di chi non aveva l’abilità o il fegato necessari per risolvere da sé i propri contenziosi….oggi un marito cornuto, domani una causa o un’eredità incerta, debiti di gioco saldati a metà con tutta una serie di annessi e connessi”. Un vero killer, insomma. Burbero ma simpatico, e con una sua morale, in quanto valuta con il filtro del suo buon senso gli incarichi da accettare. Oppure salva la vita a un malcapitato che deve uccidere in un’imboscata, se scopre in lui una certa nobiltà d’animo. Attirandosi rogne a non finire visto che la vittima designata è nientemeno che il Principe di Galles, a Madrid in incognito per questioni amorose, e l’ingaggio per ucciderlo gli è stato affidato dal terribile frate Emilio Bocanegra (a tramare è sempre la Chiesa….).
Chi racconta la storia del Capitano Diego Alatriste è il giovane Íñigo Balboa y Aguirre, uno sveglio tredicenne rimasto orfano e affidato alle cure dello spadaccino. Pur essendo per forza di cose un solitario, Alatriste ha alcuni punti di riferimento, in genere nobili per cui ha lavorato e che gli sono rimasti grati, come Álvaro de la Marca, Conte di Guadalmedina, oppure il famoso poeta Francisco de Quevedo. Ecco, l’originalità di questa serie di romanzi di Pérez-Reverte è di mescolare alla finzione personaggi realmente esistiti, in particolare commediografi, scrittori, poeti. Pedro Calderon de la Barca, Lope de Vega, Luis de Gongora, Ruiz de Alarcon, lo stesso Quevedo entrano così a far parte della storia, soprattutto con sonetti, quartine, citazioni che l’autore dissemina a piene mani per tutto il libro.
Cornuto sei, Tizio, a più non posso,
che ci puoi rastrellare un bel maggese;
hai corna sì lunghe e ben distese
che se non le sfrondi un po’cadi nel fosso.

Non può mancare l’elemento femminile. La ‘Taverna del Turco’ la cui proprietaria è Caridad la Lebrijana, innamorata di Alatriste, è il luogo dove lo spadaccino si rifugia. Mentre il giovane Íñigo è innamorato della perfida Angélica de Alquézar, damigella della regina. Anche il pittore Diego Velàzquez viene talvolta richiamato nel racconto e i personaggi ritratti escono dai quadri per diventare reali.
Aver affidato la narrazione agli occhi incantati e non ancora smaliziati di un ragazzino (anche se quando scrive le vicende di Alatriste Íñigo è ormai cresciuto) è un artificio letterario furbesco ma convincente. Credo che leggerò anche gli altri volumi della saga.
Ormai non ci sono più né lui (Lope) né don Francìsco de Quevedo né Velàzquez né il capitano Alatriste, ed è finita l’epoca miserabile e magnifica che io ho vissuto. Ma resta, nelle biblioteche, nei libri, nelle tele, nelle chiese, in palazzi, strade e piazze l’impronta indelebile che quegli uomini hanno lasciato con il loro passaggio sulla terra. Da questo libro nel 2006 è stato tratto un film – “Il destino di un guerriero” – con Viggo Mortensen che interpreta Alatriste.

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