Ho visto “Molto forte, incredibilmente vicino”

Scrivo a caldo (ho visto il film da poche ore) e sull’onda dell’emozione. Il film è stupendo e si salda perfettamente con il libro, grandioso, di Jonathan Safran Foer che avevo letto a suo tempo, commovendomi alquanto. Ho già visto recensioni che lo maltrattano un po’ e con le quali non sono d’accordo. Il regista Stephen Daldry si sforza di condensare in poco più di due ore un libro di 350 pagine densissimo di fatti. Secondo me ci riesce, senza perdere nulla dell’emozione che il libro era riuscito a trasmettermi.
Questo film è ‘molto forte’ ed è ‘incredibilmente vicino’ a “Ogni cosa è illuminata”, altro film tratto da un’opera di Safran Foer, seppure questo più autobiografico. Entrambi però toccano il tema della memoria e di una caparbia ricerca delle radici.
Quelle di Oskar Schell, 9 anni, sono però più recenti e si riferiscono alla scomparsa del padre nell’attentato alle torri gemelle dell’11 settembre. Di lui sono rimasti alcuni drammatici messaggi registrati sulla segreteria telefonica di casa e una misteriosa chiave abbinata ad un nome, Black. Come tutte le chiavi dovrebbe aprire qualcosa e Oskar, che vive in una sorta di limbo, rinchiuso in un mondo tutto suo nel ricordo del padre, si impegna in una ricerca a 360 gradi a New York per trovare il Mr. Black o la Mrs. Black in questione e la serratura che quella chiave apre, credendo così di avvicinarsi al padre.
La ricerca dura mesi e ha esito positivo, ma non è quello che il bambino si aspettava. Ciò che conta però è la ricerca interiore. Oskar ha una disciplina ferrea, ereditata dal padre – “mai smettere di cercare” -, che si alterna a qualche comprensibile momento di debolezza. La conclusione della vicenda lo riavvicina alla mamma e gli permette forse di trovare il nonno paterno, mai conosciuto. Si saldano così tre generazioni.
Sono passati undici anni ma la ferita delle Torri Gemelle è ancora fresca e forse non si rimarginerà mai. Almeno io la sento tale. Confesso – e non mi vergogno – che mi sono scappate alcune lacrimucce durante la proiezione, così come era accaduto durante la lettura del libro.
Tom Hanks (il padre) è un grande attore, come pure Sandra Bullock (la madre). Giganteggia però Max von Sydow (l’inquilino e potenziale nonno) che non ha bisogno di doppiatore. Il suo personaggio è volutamente muto, si esprime scrivendo su pizzini o risponde mostrando i palmi delle mani su cui è scritto “yes” e “no”. Altri interpreti di valore sono John Goodman (il portiere di casa Schell) e Viola Davis (Mrs. Black). Meno convincente Jeffrey Wright (Mr. Black). L’eccezionale bambino si chiama Thomas Horn e in realtà è un po’ più grandicello del suo personaggio.
Un film che aspettavo e che per quanto mi riguarda supera ogni altra visione di questa stagione cinematografica. Mi auguro lo vedano in molti.
Meglio avere una delusione che non avere nulla.

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