Ho letto “Un’aria da Dylan” di Enrique Vila-Matas

E nelle ore successive rimasi solamente con un dubbio: se indossare la maschera del fallito o proseguire nella mia vita normale di fallito.
E’ un libro che non sai come prendere e risulta anche diffcile raccontarne la trama. Lo si può tentare a pezzi e per suggestioni.
Vilnius Lancastre tiene un Archivio Generale del Fallimento, è diventata la sua unica ragione di vita, una documentazione che secondo le intenzioni gli dovrebbe servire per fare un grandioso film sul tema. Suo padre, scrittore, è morto da pochi giorni e lui lo sostituisce a un congresso letterario sul Fallimento dove avrebbe dovuto tenere un intervento.
Non era abituato a scrivere perché si dedicava al cinema e inoltre era molto pigro e aspirava a diventare un giorno come Oblomov, il personaggio profondamente ozioso di un romanzo russo, paradigma del non fare nulla.
Davanti agli insigni colleghi del defunto genitore, Vilnius non svolge una vera e propria relazione ma teatralizza gli ultimi giorni di vita del padre del quale, dopo una caduta e la conseguente botta in testa, sente di aver assorbito la memoria.
Pensava, in sostanza, di offrire in pubblico un’esibizione compiuta ed esemplare di come si fallisce completamente e veramente.
La seconda suggestione è che Vilnius è soggiogato da una frase in cui si è casualmente imbattuto guardando un film: “Quando fa buio abbiamo sempre bisogno di qualcuno”. E’ tratta dal film “Tre camerati” di Frank Borzage del 1938, regista che ho scoperto poche settimane fa, quando ho letto “E adesso, pover’uomo?” di Hans Fallada, da cui Borzage aveva tratto l’omonimo film. La frase in questione è inizialmente attribuita a Francis Scott Fitzgerald, sceneggiatore del film, ma poi Vilnius scopre che gli sceneggiatori erano ben otto e come se non bastasse alla fine ci aveva ancora messo le mani il produttore. Impossibile, nonostante le ricerche tra Barcellona e Los Angeles, tra studiosi di cinema e sceneggiatori sopravissuti, arrivare ad attribuire ad una persona precisa l’origine della frase. Un altro fallimento, quindi, per il giovane, da inserire nel suo famoso archivio.
Non c’è dubbio che la morte sia il fallimento umano per eccellenza.
Al congresso Vilnius incontra l’io narrante, uno scrittore che ha conosciuto suo padre e che ha ormai “deciso in segreto di non scrivere nessun altro libro perché ero molto pentito, quasi addolorato per tutti quelli che avevo pubblicato nel corso della mia vita” e lo convince a rinviare la sua decisione e accettare la proposta di scrivere la biografia di suo padre, “la storia di come un lutto può generare una nuova famiglia a un defunto; la storia, anche di giovani poetici e malati, Oblomov paventati, persi nel vuoto culturale della loro terra e con la tendenza a essere, fino a limiti insospettabili, sfaticati e refrattari allo sforzo; una storia di lutto e abisso…”
La terza suggestione è data dal rapporto con i genitori.
Vilnius paventa infatti che il padre sia stato in realtà ucciso dalla moglie e dal suo amante. Un omicidio perfetto che non ha lasciato traccia.
La sua aria da Dylan gli aveva creato qualche problema – soprattutto con suo padre che odiava quella pettinatura e la ricerca della somiglianza con il musicista.
Particolarmente incandescenti quelli con la madre, rappresentata come una vera iena.
Ciononostante, decisi di andarci, decisi di andare a vedere il mostro che in altre epoche e in centinaia di occasioni diverse avevo chiamato mamma.
E’ difficile spingersi oltre. Sono abituato a segnare a matita con tratti verticali sul bordo delle pagine i passaggi e i rimandi più interessanti dei libri che leggo. Al termine della lettura di “Un’aria da Dylan” mi sono reso conto di averlo riempito di freghi di grafite, tante e tali sono le suggestioni che, tra cinema e letteratura e musica, Vila-Matas propone, una girandola tra Amleto e il mio idolo letterario per eccellenza, il già citato Oblomov, da Agatha Christie a Marlowe, a Woody Guthrie e ovviamante al menestrello Bob, da Marcel Duchamp a una Barcellona che più da film non si può. E tanto altro ancora. Un libro difficile ma fantasioso e ironico. Da leggere!
Mi sento felice, sì, quando ascolto “Under the mango tree”, sì. E allora?

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