Ho letto “Si è suicidato il Che” di Petros Markaris

Se c’è un greco che non è convinto che lo stato lo deruba e che non sente il bisogno di riprendersi un po’ del suo sangue, o è pazzo o è bulgaro.
Ormai mi sono affezionato al commissario Kostas Charitos, al suo sobrio stile di vita e alla sua scassata Mirafiori. Anche alla moglie Adriana, dotata di un buon senso derivante da ore e ore passate davanti al televisore, e alla figlia Caterina, futuro procuratore. Questo è il quarto libro di Markaris che leggo, purtroppo non in ordine di pubblicazione, avendo iniziato dall’ultima inchiesta di Charitos, Prestiti scaduti del 2011, su segnalazione di Sara, la mia libraia di fiducia.
Il commissario è reduce da un incidente di lavoro, un proiettile nel costato per salvare una donna minacciata dal figlio. E’ in convalescenza, una lunga assenza dall’ufficio, con le giornate organizzate dall’assillante moglie. Viene però richiamato ufficiosamente in servizio per condurre sotto traccia un’indagine su alcuni inquietanti suicidi.
La missione che mi ha affidato Ghikas è un nuovo inizio, che mostra tutte le intenzioni di confermare il detto popolare “il cattivo inizio ha fine peggiore”.
E’ l’Atene del 2003, devastata dai cantieri olimpici su cui la gente si interroga se saranno mai finiti in tempo per i Giochi. E’ l’epoca degli appalti ingenti che suscitano nell’opinione pubblica legittimi sospetti. La Grecia che guarda all’Europa e al mondo si dissangua economicamente per fare bella figura.
Deve essere molto intelligente perché ha capito in fretta che il secondo campo imprenditorile in cui si possono fare i soldi vendendo aria fritta è l’unione Europea.
Tre sono i suicidi importanti che si susseguono nell’arco di poche settimane: un imprenditore, un politico, un giornalista. Tutti accomunati dalla platealità del fatto, in diretta televisiva o comunque in presenza di telecamere. Gli inquirenti ritengono frettolosamente che siano stati indotti da gruppuscoli di estrema destra. L’indagine parallela di Charitos porta invece a più interessanti scoperte: la comune militanza dei tre suicidi in gruppi rivoluzionari armati nel periodo del regime dei colonnelli e la successiva collaborazione in attività imprenditoriali. E’ evidente che qualcuno al corrente dei loro segreti li ha indotti a togliersi di mezzo.
Dio ama i giornalisti di tutti i generi. Altrimenti non si spiega come ogni volta che una notizia sta per tirare le cuoia, arriva la manna dal cielo e la fa risorgere dalle sue ceneri.
E’ il più corposo dei romanzi di Markaris fra quanti letti finora. L’ironia di Charitos nei confronti delle istituzioni greche e dell’andamento economico del suo paese, che prefigura i disastri di oggi, è molto forte. Il mio rammarico è di non conoscere Atene così bene da potermi orientare tra i toponimi che Markaris dissemina continuamente. In effetti gli spostamenti di Charitos sono fondamentali nel racconto. La stessa cosa vale per la cucina greca e per i manicaretti preparati da Adriana che nei rapporti con il marito costituiscono un vero e proprio linguaggio.
“Sono un medico!” esclama. “Sai che significa sapere che qualcuno sta morendo e non poter fare in tempo?”
“No. Io sono un poliziotto e di solito arrivo sempre a decesso avvenuto.”

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