Ho visto “Il cammino per Santiago”

Chissà se a qualcuno, visto il film, verrà voglia di andare a percorrere il Cammino di Santiago, la celebre via di pellegrinaggio verso la Cattedrale di Santiago de Compostela in Galizia. Perché una delle finalità era proprio quella di promuovere, in modo laico direi ‘turisticamente’, quei luoghi. In realtà c’è di più, il film si interroga a lungo sulle spinte personali che portano a intraprendere un viaggio a piedi per 800 chilometri che dura mesi. Qualcosa ci deve essere, al di là della stravaganza di una scelta.
Tom Avery, anziano oculista americano tutto studio professionale e club del golf, riceve la ferale notizia della morte del figlio quarantenne Daniel. Il ragazzo, non in buonissimi rapporti con il padre, appena iniziato il percorso verso Santiago ha avuto un incidente durante un temporale quando si trovava ancora in territorio francese. Tom accorre sui Pirenei per riconoscere la salma e decide di far cremare il figlio e raccoglierne in un certo senso il testimone. Inizia così il suo percorso, zaino di Daniel in spalla e le sue ceneri in una scatola. E’ un pellegrinaggio difficile il suo, con motivazioni molto diverse rispetto a quelle della gente che incontra lungo il cammino. In certi luoghi disperde un po’ delle ceneri del figlio e in alcuni frangenti gli pare di vederlo addirittura al proprio fianco. Ben presto si uniscono a Tom altri pellegrini: l’olandese Joost, la canadese Sarah e l’irlandese Jack. Quest’ultimo è uno scrittore in crisi che tiene il diario del viaggio e che conosciuta la storia di Tom la trasformerà in un libro. L’eterogeneo quartetto procede per mesi tra inevitabili contrasti, dovuti alle culture e agli stili di vita diversi ma soprattutto alle motivazioni per le quali si sono messi in cammino, fino alle soglie dell’inverno e completa il viaggio.
Due ore di film sono nulla rispetto alla durata del Cammino e passano in un amen, mentre sullo schermo scorrono le immagini di paesaggi aspri, città e villaggi, ostelli e ripari di fortuna. Certo c’è il rischio di apprezzarne soprattutto l’aspetto documentaristico, ma anche chi non è credente non mancherà di considerare significati più profondi.
Il navigato attore americano Martin Sheen – il cui vero nome è Ramón Gerardo Antonio Estévez – fornisce un’interpretazione sontuosa di Tom senza indulgere al sentimentalismo. Suo figlio Emilio Estévez firma la regia e interpreta Daniel. Gli altri tre attori principali Deborah Kara Unger (Sarah), James Nesbitt (Jack), Yorick van Wageningen (Joost) curiosamente sono ciascuno della stessa nazionalità dei personaggi che interpretano. Colonna sonora magica ma a tratti invadente.
Un film un po’ più spirituale non guasta in mezzo a tanto cinema materialista.

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