Ho letto “Il peccato” di Francisco González Ledesma

Méndez era sempre stato uno sbirro malvisto, mal pagato, mal considerato e pure lesionato a prua. Tutte queste circostanze indicavano una cosa sola: povertà. Ma non era proprio così. Benché Méndez guadagnasse poco, spendeva poco. Per tutta la vita aveva mangiato in osterie, in bar sul punto di chiudere e in taverne tenute d’occhio dall’ufficio d’igiene: insomma, aveva mangiato, senza rendersene conto, residui municipali e avanzi d’ambulatorio.
Méndez è il verace protagonista del poliziesco più sboccato, più sguaiato, più volgare, più irriverente che abbia mai letto. Roba da far impallidire Winslow, Lansdale, Palahniuk…. Quindi XXX non proseguite nella lettura di ciò che il libro mi costringe a raccontare.
La storia si svolge tra una Barcellona post-olimpica piena di strade presumibilmente veloci e Madrid, tra bordelli d’altissimo bordo e pensioni d’infima categoria. Un anziano dal nome altisonante viene trovato morto, seduto su una panchina di una piazza di Madrid. In realtà è stato accompagnato lì già cadavere da due puttane, dopo essere rimasto secco nella casa di donna Lorena Dosantos, il laboratorio per fornicare più misericordioso di tutta Madrid. Ben presto però arrivano due preti che se lo portano via sottobraccio e lo caricano in un furgone. E’ l’incipit scoppiettante del romanzo e subito dopo facciamo la conoscenza con Méndez, un vecchio poliziotto ormai impotente che non ne ha mai indovinata una e che i suoi superiori inviano a Madrid per mettere la sordina alla morte del vecchio puttaniere. Di ritorno a Barcellona, Méndez si trova alle prese con un’intercettazione ambientale che presumibilmente si conclude con l’uccisione di una giovane donna da parte di due tizi di nome David e Alberto. Sorvolo sul tipo di ‘tortura’ a cui la giovane viene sottoposta e che si conclude con uno sparo, dove è facile immaginare.
E poi uno sparo sordo, soffocato, uno sparo che attraversò lo strato di pelle setosa, di muscolo teso, di membrana sporca, di intestino cieco, di merda liquefatta, di seme e di sangue.
Chi sia la ragazza e chi siano i killer è affare di Méndez scoprirlo. Ma prima di arrivare al dunque, la sua scalcagnata indagine (perché da solo e senza mezzi) prende mille direzioni diverse, facendo la spola tra Barcellona e Madrid, con qualche puntata a Parigi.
Era andato a Madrid per non fare nulla, com’è giusto che sia per un onesto funzionario, ed ecco che si doveva occupare di due cose: la prima consisteva nel far sì che la morte di don Paco Rivera non si trasformasse in notizia, e tantomeno in scandalo. L’altra, nel sapere cosa c’era dietro il ripugnante delitto commesso sul culo ignoto di una donna ignota in un luogo ignoto.
E’ chiaro fin da subito che il povero Méndez, bistrattato dai suoi capi e continuamente umiliato dai personaggi coinvolti nella storia, si imbatterà in una sequela terrificante di cadaveri tra cui spiccano un sodomizzato con il trapano elettrico e un evirato con la fiamma ossidrica. La soluzione, dopo molte sorprese e continui ribaltamenti, è negli uffici ovattati dell’alta finanza spagnola, quella che guarda ai paradisi fiscali e non disdegna l’oculata gestione dei bordelli né lo spaccio di droghe.
Tutto il libro è un continuo peana per celebrare il culo femminile, elevato a vera e propria divinità nazionale spagnola e definito di volta in volta ‘monumento nazionale’, ‘retroguardia lunare’, ‘il tuo culo è il tuo sorriso’, ‘porta miracolosa’. Una vera ossessione per Francisco González Ledesma, ottantacinquenne giornalista catalano e autore di molti ‘noir’.
“Perché non parliamo di donne? Come le piacciono le donne?”
“Grasse” dichiarò don Alejandro.
“E culone?”.
“Culone” precisò don Alex, con sguardo sognante. “Il resto non importa, ma su questo non transigo”.

Poliziesco intrigante e divertente se si riesce a sopravvivere alla volgarità. Ma ormai chi si scandalizza più?

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