Ho letto “Le morti concentriche” di Jack London

Cinque splendidi racconti compongono questo volumetto pubblicato nella preziosa collana La Biblioteca di Babele stampata da Franco Maria Ricci nel lontano 1979. Allora avevo acquistato l’intera collezione, letto qualcosa e poi l’avevo lasciata impolverare in uno scaffale. Dopo tanti anni ne riscopro tutte le chicche a cominciare da questa di London.
“La casa di Mapuhi” ci porta negli incantati mari del sud, dove tempeste improvvise possono cancellare in un batter d’occhio interi villaggi.
“La legge della vita”, ambientato tra gli indiani d’America, mi ricorda il film capolavoro di Imamura, “La ballata di Narayama”, in cui la tradizione vuole che la morte di un vecchio consenta ad un giovane di sopravvivere. Così è per l’anziano capovillaggio Koskoosh, abbandonato dalla tribù che deve spostare l’accampamento con l’arrivo dell’inverno.
“Faccia perduta” è una inquietante parabola sulla sopravvivenza tra i ladri di pelli dell’Alaska e della Kamchatka.
“L’ombra e il baleno” è un curioso apologo sul tentativo di raggiungere l’invisibilità. Due amici ci provano: uno attraverso la rifrazione dei colori, l’altro attraverso l’assorbimento, l’eterna lotta tra il bianco e il nero.
In “Le morti concentriche” che dà il titolo al volumetto Jack London lascia trapelare le sue ingenue idee socialiste. Togliere ai ricchi e ridistribuire ai poveri.
Come schiavi salariati, faticando dalla mattina alla sera e vivendo sobriamente, non potremmo risparmiare in sessanta anni – e neppure in venti volte sessanta anni – una somma di denaro sufficiente a competere con successo con le grandi aggregazioni di capitali che già esistono.
Di qui la necessità di delinquere. Attuale, non è vero?
Cinque piccoli tesori che si leggono in poco tempo e fanno meditare per molto.

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