Ho letto “Allodola” di Dezső Kosztolányi

Gli ubriachi volano. Sono i sobri a credere che non facciano altro che barcollare qua e là, essi in realtà si sollevano su ali invisibili ed arrivano in ogni luogo.
Sembrano secoli quelli che ci separano da quest’opera e invece non sono neppure novant’anni. “Allodola” infatti è stato scritto da questo scrittore ungherese (e poeta, e giornalista, e traduttore….) nel 1923. Nella lingua del suo Paese Dezső Kosztolányi ha fatto conoscere Shakespeare, Wilde, Rilke, Goethe, Baudelaire, Verlaine, Maupassant e anche gli italiani Gozzano e Pirandello.
“Allodola” è il soprannome dato da due genitori allo loro figlia e rimasto anche quando questa ha raggiunto l’età adulta. Il romanzo si svolge nell’arco di una sola settimana, precisamente dalla partenza di Allodola per una breve vacanza presso parenti che abitano nella puszta ungherese fino al suo ritorno a casa. In realtà la storia si occupa poco di Allodola una volta partita, ma narra del mutamento nelle giornate dei genitori che si ritrovano senza l’incombenza della figlia. La coppia infatti si dà a una vita un po’ più mondana, fatta di ristoranti e spettacoli teatrali per entrambi, per la donna di acquisti e per l’uomo di partite a carte con gli amici e lunghe bevute.
Akos lo ripeteva sempre, a se stesso così come agli altri. Sapeva che non era bella poverina, ed a lungo aveva sofferto per lei.
La vicenda è triste perché i genitori (neppure troppo anziani, Akos Vajkay ha cinquantotto anni….) vivono per la figlia e la figlia per loro. Allodola ha trentacinque anni e non si è mai accasata: donna insignificante ha così trascorso la giovinezza senza mai uscire dal nido familiare, vedendosi sfiorire giorno dopo giorno.
Vedeva distintamente davanti a sé quelle misere stanze, negli angoli delle quali si ammonticchiava come spazzatura non rimossa la sofferenza, la sporcizia delle vite, il dolore accumulato nel corso degli anni.
Quello che si era dimostrato un possibile partito per lei, un ferroviere neppure lui troppo brillante, si è ben presto dileguato quando la faccenda poteva farsi seria. La vacanza presso i parenti era l’ultima possibilità di conoscere qualcuno e affrancarsi dalla schiavitù domestica. Invece è passata invano e Allodola fa un mesto ritorno a casa dai genitori e la famiglia torna a rinchiudersi in sé.
Sarszeg è un toponimo inventato, la città dove si svolgono i fatti potrebbe essere ovunque, anche non in Ungheria, tanto è simbolica di quella società e di quegli anni.
…dove i vasai avevano montato i loro banchi, ribolliva il mercato delle stoviglie, con le galline che beccavano qua e là, le servette che spettegolavano e le signore che si lamentavano dei prezzi troppo cari.
Allodola è lo stereotipo di quelle figlie che, volenti o nolenti, si sono dedicate alla cura dei genitori, invecchiando senza accorgersene insieme a loro e rinunciando ad una qualsiasi forma di emancipazione. Famiglie apparentemente serene ma che nascondono una quotidianità molto spesso fatta di infelicità.
In ogni modo sono figure curiose questi crepuscolari….sono infelici e dicono di essere felici. Hanno più problemi degli altri, ma li sopportano meglio di loro, come se fosse la sofferenza a sostenerli.
“Allodola” è un romanzo polveroso, ma è sufficiente soffiarvi sopra per riscoprire un mondo che si è dissolto da tempo.

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