Ho letto “Kotik Letaev” di Andrej Belyj

E’ uno dei libri più strani e insoliti che abbia mai letto, difficile anche, perché Belyj con questo romanzo autobiografico ci fa vedere il mondo dalla parte di se stesso bambino, tornando indietro fino al grembo materno, allo stato liquido se non addirittura gassoso, momento in cui lo scrittore colloca antroposoficamente la formazione della propria coscienza. E giustamente cita la Nataša di Guerra e pace per dire che “…quando ci si abbandona così a rievocare, rievocare, rievocare, si finisce, a furia di memorie, col ricordare cose accadute ancora prima che si sia venuti al mondo…”
Dallo stato prenatale i primi ricordi, poi la venuta al mondo come lo scoppio di una bolla, l’io e il non-io, le prime forme, la formazione della realtà, il dottore, mamma e papà, la tata, tutto visto con gli occhi del bambino fino alla seconda infanzia.
Pubblicato a puntate su una rivista tra il 1915 e il 1917, Kotik Letaev fu stampato come romanzo nel 1922 per diventare, nelle intenzioni dell’autore, la prima parte di una ponderosa autobiografia. Anche se Belyj non fu arruolato dalla critica tra i futuristi russi ma comunemente tra i simbolisti, non è difficile riscontrare in Kotik Letaev gli echi di certa letteratura futurista sia per certi segni grafico-estetici che danno espressività al testo sia per alcuni giochi fonetici, soprattutto nel linguaggio onomatopeico del bambino, che ricordano le ‘parole in libertà’ di Marinetti.
Difficile dunque tradurlo in italiano o in altra lingua. Non a caso Belyj è stato definito il Joyce russo. L’impresa venne affidata nel 1973 a una giovanissima Serena Vitale che la condusse brillantemente in porto. Si deve a lei se oggi possiamo godere di questo capolavoro.

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