Ho visto “C’era una volta in Anatolia”

Sono contento che, tra tante inutili fetecchie che popolano gli schermi dei nostri cinema, sia ricomparso, dopo una pausa di parecchie settimane, questo film che merita invece di essere visto. “C’era una volta in Anatolia” aveva ottenuto il Premio Speciale della Giuria al Festival di Cannes 2011, a testimonianza del fermento oggi esistente nella cinematografia turca.
La prima parte del film è una lunga peregrinazione notturna, durante la quale un assassino conduce la polizia, un medico legale e un giudice lungo le campagne dell’Anatolia alla ricerca del luogo dove ha sepolto il cadavere di un uomo. Fari di auto accesi nella notte su strade al limite della percorribilità. L’assassino non ricorda bene il luogo, o finge di non ricordare, si confonde. Il gruppo si ferma in un villaggio, dove è amabilmente accolto dal sindaco e dalla sua famiglia. Intanto emergono i caratteri dei personaggi e le loro storie. In particolare il procuratore narra di una donna che aveva previsto il momento esatto della propria morte.
All’alba il cadavere viene ritrovato, dissepolto e trasportato in città, all’obitorio. E’ la secondo parte del film. Moglie e figlio dell’ucciso vanno a riconoscere la salma. E si chiudono le storie sui personaggi. La donna di cui parlava il procuratore è sua moglie.
Costringe il medico a pronunciarsi sull’interrogativo: “Una persona può decidere di suicidarsi per punire un’altra persona? E’ possibile?”. Alla fine escono tutti sconfitti, anche il medico legale, che ha omesso nel referto ciò che il perito settore ha riscontrato. L’ucciso, che era stato incaprettato, era ancora vivo quando è stato sepolto. Una delicatezza nei confronti della vedova?
Un film di due ore e mezza, molto intenso e ben fotografato. Nuri Bilge Ceylan è un regista poco più che cinquantenne, con una filmografia di tutto rispetto e abituato ai premi internazionali.

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