Ho visto “E’ stato il figlio”

Chissà se si riferiva anche a questo film, Francesco Bonami scrivendo su La Stampa qualche giorno fa che il cinema italiano non sa più raccontare storie. Perché qui la storia c’è ed è raccontata benissimo. Tanto più che è realmente accaduta a Palermo negli anni Settanta e ricavata dal libro omonimo di Roberto Alajmo.
E’ la storia di una famiglia disagiata che vive in un quartiere popolare del capoluogo siciliano e che viene sconvolta dall’uccisione, avvenuta per errore, della figlioletta durante un’esecuzione mafiosa. Lo Stato risarcisce il capofamiglia Nicola, attraverso la legge per le vittime di mafia, con una grossa somma. L’inattesa ricchezza, ancorché a lungo attesa perché i soldi tardano e la famiglia per sopravvivere deve ricorrere agli strozzini, finisce con il rovinare la famiglia: Nicola sperpera 80 milioni per l’acquisto di una lussuosa Mercedes che diventerà fatale per tutti, a cominciare da lui stesso.
La vicenda è raccontata da un uomo seduto in un ufficio postale che si rivolge alle persone in attesa. L’uomo, catatonico e male in arnese, si rivela essere il figlio maggiore, Tancredi, appena uscito di prigione.
Daniele Ciprì, questa volta regista in solitario e non con Franco Maresco (insieme erano noti per i filmati di Cinico tv), non tradisce i toni del grottesco che hanno caratterizzato la filmografia precedente e propone una stupefacente galleria di ‘nuovi mostri’, nella quale riesce anche a incastonare un superlativo Toni Servillo di cui si ricorderà a lungo, prima ancora che la maschera, la sua camminata caracollante, con una postura da operaio offeso, avvilito, senza speranze.
Il finale del film, con la remissiva nonna Rosa che prende decisamente in mano la situazione, dimostra ancora una volta quanto sia profondamente radicato, anche in famiglie cosiddette ‘normali’, lo spirito omertoso e mafioso. E così l’omicida, mafiosetto emergente, viene risparmiato alla giustizia perché è l’unico in grado di continuare ad accudire la famiglia. Al suo posto in galera finisce il povero Tancredi, insignificante ventenne senza arte né parte.
Bella fotografia, ottimi caratteristi, per esigenze produttive film girato in provincia di Brindisi. Quando il dialetto palermitano si fa stretto, i dialoghi sono sottotitolati. Da vedere.

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