Ho letto “Il presidente” di Georges Simenon

Era come se volesse innalzare intorno a sé un muro, o meglio come se si rannicchiasse sotto una coperta per non sentire nulla al di fuori della sua personale esistenza.
Il “presidente”, ha ottantadue anni e vive ritirato a Les Ébergues, un’antica residenza a Fécamp, sulla Manica, messa a disposizione dal governo, come pure una governante, un’infermiera, una segretaria, un autista. Essere stato per vent’anni uno dei cinque grandi del mondo, aver avuto una carriera lunghissima, per ventidue volte ministro e per otto presidente del consiglio, gli dà questi privilegi. A lui sono dedicati libri e biografie, i giornalisti lo cercano ancora (sempre meno per la verità) da tutto il mondo, viene interpellato per la formazione dei governi. L’unico suo rammarico è essere stato vicinissimo all’Eliseo senza riuscire a diventare presidente della repubblica. Ora vive gli ultimi giorni, continuamente controllato dai medici, covando astio verso coloro che sono rimasti a governare il paese.
E va bene era di cattivo umore. Per tutta la vita era andato soggetto a moti di stizza.
La Francia vive un momento delicato: c’è una crisi economica e di governo. Difficile mettere insieme le forze per creare una nuova coalizione. L’incarico viene dato a Chalamont che si riserva di pensarci ventiquattr’ore prima di accettarlo. Quando scioglie la riserva, il “presidente” ha un attacco di ansia e eccede con una medicina. Il fatto è che Chalamont, da quando aveva venticinque anni, è stato un suo collaboratore.
Il presidente lo aveva voluto al suo fianco, portandoselo dietro da un ministero all’altro, prima come galoppino, poi in veste di segretario particolare e, infine, di capo di Gabinetto.
Fino a quando il “presidente” non lo aveva pizzicato con le mani nel sacco, un caso di insider legato a una manovra finanziaria: Chalamont aveva favorito un certo gruppo bancario passando notizie in anticipo. Così aveva licenziato il suo collaboratore costringendolo a scrivere di suo pugno una lettera in cui ammetteva il fatto. Quel documento, mai divulgato, giace nascosto in un libro, un segreto di stato, come tanti altri relativi a politici importanti, nascosti nei volumi della sua biblioteca. Il presidente tiene in pugno Chalamont nel momento in cui si accinge a formare un governo.
Si stava forse piegando alla legge della vecchiaia, che a un certo punto altera anche la più solida capacità di giudizio?
Ma l’anziano statista non usa il documento. Si crogiola nella sua vetusta e presunta onnipotenza e decide di distruggere tutti i documenti riservati conservati per anni, salvo scoprire dalla sua segretaria che i ‘suoi segreti’ erano a conoscenza dei servizi di sicurezza francesi già da anni, grazie alla collaborazione di tutto il personale in servizio alla residenza. Al vecchio presidente non resta che lasciarsi spegnere.
Stava scoprendo che il confine tra la vita e la morte è difficile da stabilire, o forse non esiste.
“Il presidente” è un romanzo del 1957, ma conserva inalterata tutta la sua attualità. Con la vecchiaia, anche il potere, esercitato per anni, si sgonfia. Restano i fantasmi del passato, ma a poco a poco scompaiono anche questi. Il presidente li saluta uno a uno, prima di congedarsi dalla vita, non riuscendo più a distinguere i personaggi già morti da quelli che ancora lo circondano. Di lui resteranno biografie, vie intitolate in ogni città della Francia, qualche monumento
Simenon si è ispirato a Georges Clemenceau che fu a capo del governo durante il primo conflitto mondiale. Nel romanzo rende perfettamente il crepuscolo dell’uomo e del politico. Ricco di spunti di riflessione per chi segue la politica oggi, tra debolezze, ambizioni, vanità, ricatti, doppiogiochisti….
Aveva creato la leggenda di un politico incorruttibile, intransigente, che compiva il proprio dovere senza lasciarsi condizionare da nulla.

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