Ho letto “Dire fare mangiare” di Luca Iaccarino

Ah ah, recensire il recensore (di ristoranti), che libidine! Questo però non è una selezione di ristoranti (o trattorie, che sono la specialità di Luca) né un libro di cucina. Si legge piuttosto come un romanzo o, meglio, una raccolta di racconti legati da un filo conduttore che è il ‘mangiare’ (uso questa definizione e non quella più modaiola e abusata di ‘gusto’). A Iaccarino piace enormemente mangiare, tanto è vero che vi ha costruito sopra la sua professione: “il cibo mi ha fatto trovare un lavoro – di questi tempi non è poco -, mi ha fatto conquistare mia moglie….” scrive nell’introduzione.
Poi via con le storie, che sono quattro: un pranzo da favola al Louis XV di Alain Ducasse a Montecarlo; una corvée di tre giorni nelle cucine della Taverna di Frà Fiusch, rinomato ristorante della collina torinese; una colorita esperienza di cibo da strada a Palermo, tra Ballarò e Vucciria; un pranzo organizzato in casa per gli amici di sempre.
Il primo è l’incontro con il lusso, una dettagliata quanto ironica cronaca di un pasto da 632 euro in due.
La sostanza è tutta qui: non tanto avere un oggetto sopraffino o fare un’esperienza maiuscola, quanto possedere una roba o vivere una situazione che gli altri si sognano.
Al di là del cibo, quello conta è la messa in scena o, come dice l’autore indicando la cifra del servizio ad alto livello, la complicità ovvero essere trattato come un cliente speciale anche se non lo sei. La tendenza alla piaggeria – ottima scelta monsieur, ottima scelta madame – da parte del maître è fintamente apprezzata dal cliente che, per gli euri che spende, sta al gioco. Luca Iaccarino individua in quattro aspetti le meraviglie di quel pranzo: le materie prime, la separazione dei gusti, l’estro dello chef, la cottura. Tutti ovviamente al massimo livello.
Dicevo che è una cronaca, perché oltre a raccontare i cibi (che non sto a elencare, se volete compratevi il libro….) Luca descrive con arguzia la fauna che frequenta il locale: russi arricchiti, ex-modelle siliconate, usurai, trafficanti, giocatori da casinò brianzoli (credo gli ultimi rimasti….).
La seconda storia è l’esperienza allucinante, vissuta dall’autore, di tre giorni come aiuto nelle cucine del ristorante dell’amico Ugo Fontanone. Ne è scaturita una sorta di “Hell’s Kitchen” o “Cucine da incubo” (programmi di Gordon Ramsay, in onda su Sky, Cielo, Real Time), ma in salsa sabauda. Un’esperienza significativa e privilegiata per chi fa il recensore di ristoranti, per capire il ‘dietro le quinte’. La prima cosa che balza evidente è la sproporzione di risorse in campo rispetto a Ducasse, sette addetti di cucina contro i diciotto di Montecarlo, 35€ il menu degustazione contro 280€….. Poi c’è la questione delle ore di lavoro: un numero esorbitante ogni giorno, che vanno dall’acquisto delle materie prime fino alla pulizia della cucina dopo la chiusura. Un lavoro fatto di competenza e passione, dice Iaccarino, più che di trucchi e segreti. E di tante baruffe tra gli addetti in cucina….
Poi ci spostiamo a Palermo, dove Iaccarino, sempre con famigliola al seguito, si cimenta in una maratona di cibo da strada: stigghiole, babbaluci, arancine, crocché, panelle, frittola, cozze e gamberi crudi, sfincione, polpo, fino al meraviglioso ‘pane ca’ meusa’, di cui l’autore scrive:
Un aggettivo? Cremoso. Tra la ricotta, la consistenza del polmone e la morbidezza del pane ti si crea in bocca un bolo tenero come le chiappe di Edoardo (ndr. il primogenito di Luca). Il gusto? Dolce. Tipo fegato, ma meno acre. Tipo trippa, ma più vigoroso. Tipo una terrina, ma meno grasso. Il caciocavallo aggiunge un poco di nerbo, e in fin dei conti la cosa è piacevole.
Un’abbuffata di colori, odori, sapori che dura tutta una giornata: quindici tipi di cibo diversi per una spesa modica di 30€. Questo è il cibo di strada a Palermo. E poco importa se l’igiene lascia un po’ a desiderare che tanto ‘ciò che non ammazza, ingrassa’: più una cosa è verace e più mi sfrugola. Ed è davvero difficile che lo schifo abbia la meglio della curiosità.
Infine Luca Iaccarino si cimenta nell’organizzazione di un pranzo per gli amici, forse esaltato dall’esperienza di Frà Fiusch. Fa tutto lui: compra le materie prime e i semilavorati, cucina, serve in tavola, lava i piatti tra una portata e l’altra, mesce il vino. Risultato così così, per colpa delle tagliatelle con i funghi.
Se c’è una cosa frustrante è fare il cameriere in un ristorante dove si mangia male….Ma c’è una cosa peggiore: fare il cameriere in un ristorante dove si mangia male, e a far da mangiare sei stato proprio tu.
“Dire fare mangiare” è un libro saporoso e divertente. Se un appunto gli si può muovere è il familismo: la moglie Lisa e il figlio Edoardino sono presenti in tutte le salse, quasi che il buon Luca voglia giustificarsi e condividere con loro questa sua grande passione per il cibo. Però è anche vero che questo è il suo stile e lo ritroviamo nelle recensioni settimanali su Repubblica.
Per quanto mi riguarda, il libro ha smosso bei ricordi e considerazioni per ciascuno dei capitoli.
1. Le mie esperienze con il lusso: Lucas Carton a Parigi (1980) e Fouquet, sempre a Parigi, (1983). Chissà se un giorno riuscirò a raccontare questi aneddoti?
2. Frequento la Taverna di Frà Fiusch da prima che entrasse su tutte le guide, ma dopo questo libro penso che starò fermo un giro…..
3. Ah, l’Antica Focacceria San Francesco e il pane ca’ meusa! Ci sono stato una volta sola e ora mi accontento di mangiarla allo stand dello street food al Salone del Gusto.
4. Iaccarino divide il mondo in due: chi invita e chi non invita. Lui si iscrive, mi sembra con un po’ di snobismo, alla prima squadra. Io alla seconda (se mai invito al ristorante….) e non me ne rammarico, soprattutto se gli inviti finiscono in una carneficina verbale come nel film “Cena tra amici“.

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