Ho letto “Quando lei era buona” di Philip Roth

Non essere ricco, non essere famoso, non essere potente, nemmeno essere felice, ma essere civile – questo era il sogno della sua vita.
Da quando Philip Roth ha dichiarato che non avrebbe più scritto libri mi sono tranquillizzato: ora con più calma leggerò i suoi titoli che avevo lasciato indietro. Questo, ad esempio, pubblicato nel 1967 (terzo nella cronologia dei suoi romanzi), dopo un’uscita in Italia da Rizzoli nel 1970, è stato ripubblicato con una nuova traduzione da Einaudi solo due mesi fa. E’ un romanzo che mi ha ricordato tanti film americani degli anni ’50-60, storie di giovani dove la tragedia è sempre dietro l’angolo. Strano però che solo pochissimi suoi romanzi siano finiti sugli schermi, credo per questione di diritti, non che registi e produttori non ci abbiano provato. Tra l’altro ho appena scoperto che il grande scrittore ebbe due particine come attore nei film di Milos Forman (“Qualcuno volò sul nido del cuculo”) e Peter Bogdanovich (“Ma papà ti manda sola?”). Però torniamo al libro.
– Ma io non sono cattiva! – Non riuscì a trattenersi, era la verità: – Sono buona!
Il romanzo ci accompagna attraverso la vita di Lucy. Da bambina cresciuta con un padre ubriacone, violento e sempre senza un lavoro fisso e una madre sottomessa e pusillanime e tutta raccolta nel suo lavoro di insegnante di pianoforte. Tanto è vero che l’educazione di Lucy è demandata ai nonni. Ma la ‘tara’ psicologica lasciatale dal padre le condiziona il resto della vita, condannandola ad essere ‘buona’ ad ogni costo. Parallelamente scorre la vita di Roy, una sorta di eroe di guerra, congedato nel 1948 e con poche prospettive nella vita civile. Diventa il suo ragazzo e poi, dopo averla messa incinta, suo marito. L’evento inatteso costringe entrambi a dire addio ai rispettivi progetti universitari.
Era sua moglie; doveva solidarizzare con il suo punto di vista, anche se non sempre lo condivideva.
Roy è molto condizionato dalla sua famiglia borghese. Lui sì che è un buono e si fa in quattro per accontentare la giovane moglie, ma a Lucy questo giovane incapace e infantile non sta bene. I contrasti si fanno ogni giorno più vivaci.
Non avrebbe dovuto cedere, di là in cucina, e dire di sì a Roy. La guerra era finita? La guerra non era mai finita con le persone di cui non potevi fidarti o su cui non potevi contare.
Crescono un figlio e un secondo è in arrivo quando esplode la tragedia. Il tarlo che perseguita Lucy, il rapporto irrisolto con il padre, diviene devastante. Per tutta la sua giovane esistenza ha cercato di fare la ‘buona’ (“When she was good”) per cambiare gli altri secondo i suoi canoni. Alla fine ha tutti contro di lei.
Non è tra i romanzi migliori di Roth, soprattutto non è divertente. Manca totalmente di ironia, di quell’umorismo ebraico che caratterizza i suoi successivi lavori. E’ anche uno dei suoi pochi romanzi, forse veramente l’unico, ad avere come protagonista una donna. Una storia cupa, una tragedia americana. Da film.
E lei non discuteva. Forse non era più in grado di discutere? Si era battuta e battuta per spingerlo a fare il suo dovere, però alla fine l’aveva fatto.

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