Ho stentato a leggerlo e quindi lo considero inferiore agli altri romanzi sulle inchieste di Erlendur Sveinsson. Forse per il freddo (e quando mai l’inverno non è gelido in Islanda…) che fuoriesce da ogni riga delle 300 pagine o forse per il tema di fondo così serio e importante ma altrettanto abusato in letteratura, quello degli immigrati dal sudest asiatico. Difficile la convivenza con i nativi, traumatico l’inserimento dei bambini nella scuola. Proprio in ambito scolastico deve indagare Erlendur insieme ai suoi aiutanti Elinborg e Sigurdur Oli per scoprire l’assassino di un bambino ucciso con una coltellata in pancia. L’agente deve sempre fare i conti con il suo trauma infantile che si trascina ad ogni romanzo della serie e che questa volta lo avvicina sensibilmente alla tragedia del bambino ucciso.
Indagini accurate ai limiti della pignoleria (e della noia) mentre nella storia emergono rigurgiti di xenofobia.