Ho letto “Limonov” di Emmanuel Carrère

Il suo caso mi sembrava passato in giudicato, senza appello: Limonov era uno sporco fascista, a capo di una milizia di skinhead.
Come sempre mi accade se il libro è ricco di fermenti vitali, di rimandi e riferimenti a cose già lette o studiate, al termine della lettura il volume è pieno di freghi a matita per sottolineare passaggi che devo andare a rivedere o da cui devo partire per altre interessanti letture. Sono arrivato a Limonov passando per La vita come un romanzo russo, dello stesso autore.
Carrère ripercorre la vita di uno tra i più controversi personaggi della letteratura e della politica russa recente, scrittore e rivoluzionario o resistente e comunque un ‘fucking fascist’ come lo hanno definito gli inglesi. Da un suo libro: “Odio le orchestre sinfoniche e il balletto. Se prendessi il potere, taglierei la gola a tutti i violinisti e i violoncellisti”. Questo è Eduard Veniaminovich Savenko, in arte Limonov, un nemico della Russia, da eliminare proprio come la Politkovskaja o Litvinenko, quello avvelenato con il polonio. Limonov ha avuto una vita avventurosa, sulla quale si potrebbero scrivere non uno ma dieci libri!
E’ stato teppista in Ucraina, idolo dell’underground sovietico, barbone e poi domestico di un miliardario a Manhattan, scrittore alla moda a Parigi, soldato sperduto nei Balcani; e adesso nell’immenso bordello del dopo comunismo, vecchio capo carismatico di un partito di giovani desperados.”
Dopo un capitolo di presentazione della vicenda, Carrère inizia dall’infanzia di Eduard, figlio di un modesto funzionario dell’NKVD, la polizia politica prima denominata GPU, dopo KGB mentre oggi si chiama FSB. La sua infanzia e l’adolescenza non sono un modello dal punto di vista pedagogico.
Eduard capisce allora una cosa fondamentale, ossia che ci sono due categorie di persone: quelle che si possono picchiare e quelle che non si possono picchiare, non perché siano più forti o meglio allenate, ma perché sono pronte a uccidere.
Le risse e le maratone di ubriacatura (zapoj) sono il suo modello di educazione, ma nello stesso tempo è attratto dalla letteratura, in particolare dalla poesia. A vent’anni è già un delinquente fallito e un poeta fallito, “destinato a una vita di merda nel buco del culo del mondo”. Frequenta però l’ambiente dei poeti sia underground che già affermati, ai quali si reputa superiore. Intanto assume il soprannome di Limonov, da ‘limon’, per il suo spirito acido e bellicoso. Per inseguire il successo si trasferisce dalla natìa Ucraina a Mosca. Politica e letteratura dagli anni Settanta in poi si mescolano nella sua storia. Limonov continua a vivere ai margini, da disperato, sempre senza soldi, anche se inizia ad avere un nome e degli emuli. Si trasferisce a New York con una compagna bellissima che vorrebbe fare la modella, ma entrambi rimangono sempre ai margini della vita. Conosce e frequenta gli esuli russi.
Passare da Mosca a New York è come passare da un film in bianco e nero a uno a colori.
Tuttavia la fama non arriva e Limonov continua a far parte dei ‘losers’, quelli seguiti dall’assistenza.
L’amica Tanja non è un modello di fedeltà, mentre Eduard da questo punto di vista è piuttosto all’antica. Poi, forse per ripicca, ha una deriva omosessuale e inizia a frequentare i bassifondi di Manhattan. Diviene l’amante della domestica di un miliardario, a casa del quale riesce a installarsi, divenendone poi il maggiordomo. E’ un periodo di piaceri raffinati per Limonov che riesce anche a produrre opere letterarie pregevoli, basate sulle esperienze vissute fino ad allora.
Eduard ha l’abitudine di dare un voto alle donne: A,B, C, D….una graduatoria che contempla sia l’aspetto sociale, sia quello sessuale…..nella sua vita ci sono state molte D e anche qualche E, quelle che ti sbatti senza andare a dirlo in giro.
Ormai scrittore apprezzato, Limonov si trasferisce a Parigi nella decade degli anni Ottanta. Ora alla narrazione della sua vita, Emmanuel Carrère intreccia la propria, lui che è figlio di una intellettuale di origine russa che i mondi dei fuoriusciti russi conosce bene. Con la caduta del blocco sovietico, Limonov è uno dei pochi a non gioire. Torna in patria per assistere al trionfo delle oligarchie postcomuniste, della malavita e della mafia. Va a trovare i genitori e poi riparte per i paesi balcanici dove la disgregazione dei partiti comunisti ha lasciato macerie sulle quali prosperano gli avventurieri. Lui è uno di questi, ispirato però da ideali onesti: Eduard Limonov, scrittore, interessato ai punti caldi del pianeta.
Vukovar, Sarajevo, Krajina, Belgrado, ancora Mosca, gli Altaj, il carcere di Lefortovo sono le altre tappe della vita di Limonov, divenuto anche guerrigliero e poi fondatore del partito Nazbol, metà nazista metà bolscevico, quello che ritroviamo in libri come San’kja di Zachar Prilepin, oggi direttore del giornale per cui lavorava la Politkovskaja, ma prima esponente nazbol pure lui.
Per farla breve, “Limonov” è un libro bellissimo. Dentro c’è tutta la Russia degli ultimi sessant’anni, con pagine strepitose su poeti e scrittori, politici e affaristi, ma soprattutto con la storia incredibile dell’ucraino Eduard Veniaminovich Savenko.
In un mondo di menzogne soltanto l’ubriachezza non mente.

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