Ho visto “The Royal Weekend” di Rogel Michell

Mi aspettavo un film brillante e invece mi sono trovato di fronte un film debole di sceneggiatura, recitazione, musiche originali, scelta degli attori. Ma A Royal Weekend (perché titolare in inglese la versione italiana di Hyde Park on Hudson?) manca soprattutto di pathos.
Il succo (storico) della vicenda sta nella visita che il re d’Inghilterra Giorgio VI e sua moglie Elisabetta fecero al presidente Franklin D. Roosevelt nella tenuta della madre a Hyde Park on Hudson. Era il giugno del 1939 e per la prima volta nella storia un re inglese si recava in visita negli Stati Uniti. Si era anche alla vigilia della seconda guerra mondiale e l’Inghilterra aveva bisogno dell’aiuto degli Usa. Nel film questo aspetto fa solamente da sfondo alla vicenda umana di Roosevelt e dei suoi politicamente imbarazzanti altarini (ma da noi in Italia, abbiamo visto ben di peggio….). Il presidente dei quattro mandati consecutivi ebbe diverse amanti, fra queste, Daisy, sua cugina di quinto grado (!), era la preferita. Margaret Suckley, questo il suo vero nome, è l’io narrante della storia. Ha vissuto cento anni e solo dopo la sua morte si sono scoperti lettere e diari nei quali raccontava la sua relazione con il presidente. Da questi scritti, Richard Nelson ha tratto dapprima un radiodramma e poi la sceneggiatura del film.
Della trama c’è poco da raccontare, perché poco accade. Da ricordare però è l’incontro privato notturno tra re “Bertie” e il presidente. “Maledetta questa balbuzie” dice Giorgio VI. “Maledetta questa polio” risponde Roosevelt battendosi sulle gambe inerti. In quel momento si crea una bella complicità tra i due uomini. Bill Murray è un po’ forzato nel ruolo del presidente americano, meglio Samuel West che delinea un simpatico re Giorgio, che tuttavia scompare di fronte all’interpretazione che ne fece Colin Firth nel bellissimo Il discorso del re. Tutte sullo stesso piano le numerose presenze femminili. Apprezzabili invece le location e i costumi. Il regista, Roger Michell, è lo stesso del melenso Notting Hill (1999) e del thriller Ipotesi di reato (2002).
Curiosa infine, la scelta di due brani in colonna sonora: I Don’t Want to Set the World on Fire e If I Didn’t Care , entrambi successi degli Ink Spots, quartetto vocale black molto noto a cavallo del secondo conflitto mondiale.

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