Ho letto “Il pettirosso” di Jo Nesbø

L’avevo comprato da qualche tempo e tenuto lì. Non avevo nessuna intenzione di cimentarmi con un altro autore seriale nordico restando così invischiato in storie da dover leggere a tutti i costi. L’ho preso in mano dopo i fatti di Oslo con la strage perpetrata da Anders Behring Breivik, perché Il pettirosso ha assunto una luce nuova. Sebbene il romanzo affondi le sue radici negli anni del secondo conflitto mondiale quando i norvegesi si divisero in collaborazionisti dei tedeschi e in patrioti resistenti, il brodo di coltura della vicenda – i rigurgiti neonazisti – è lo stesso presso cui si è abbeverato lo stragista dell’isola di Utoya. Non a caso su questi fatti lo stesso Nesbø (L’Innocenza perduta della Norvegia), e anche altri giallisti come lo svedese Mankell, sono stati subito interpellati da vari giornali.
Ma per tornare al libro, Il Pettirosso ci presenta un altro eroe solitario, un poliziotto refrattario al comando, depresso e ubriacone, ruvido con i colleghi, ma ispirato da principi di assoluta giustizia. Harry Hole indaga su un traffico d’armi (in realtà si tratta di un solo fucile, un raro, potente e preciso Marklin) che si trasforma in una serie di omicidi e in un possibile attentato politico. Come già detto, l’ambiente è quello neonazi mentre il movente è una voglia di vendetta che cova dagli anni della guerra. Harry risolve tutto, tranne una questione per la cui soluzione l’autore rimanda ad un libro successivo……..
La narrazione è giocata su piani diversi che si alternano a cinquant’anni di distanza. Splendida la figura di un sottosegretario agli esteri al cui confronto nei rapporti con le donne Dominique Strauss-Kahn è un dilettante.

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