Ho letto “Il mio Toro. La mia missione” di Rabino e Gandolfo

Da tempo avevo smesso di comprare libri sul Toro, da quando due interi scaffali della mia libreria si erano riempiti all’inverosimile di volumi granata. D’altra parte il Toro è sicuramente la squadra che vanta la bibliografia più nutrita. Poi è arrivato questo regalo da mia sorella per il mio compleanno. L’ho tenuto a bagnomaria qualche settimana prima di leggerlo, una sera l’ho ripreso e una pagina dopo l’altra ho fatto le due del mattino. Confesso che non sono riuscito ad addormentarmi, perché ho cominciato a ripensare quante volte la mia vita, privata e professionale, si è intrecciata con la storia del Toro. Gli episodi sono tanti – compreso quello che Beppe Gandolfo cita in questo volume, relativo alla fatidica sera del 1° settembre 2005 che mi vide protagonista, mio malgrado, dell’annuncio che cambiò la storia recente del Toro (pag. 109) – ma per pudore non li racconto.
Poi, qualche giorno fa, Nanni Tosco, concludendo la sua ultima relazione da segretario della Cisl, ha citato inaspettatamente proprio Il mio Toro e le ultime righe scritte da Don Aldo Rabino: Devo dire grazie a questa realtà cui ho dato molto, ma che anche più mi ha restituito. Così è e così ho vissuto la mia vita. Il domani me lo auguro lungo, tanto lungo, perché sono molte ancora le cose da fare e i sogni da realizzare. Soprattutto, me lo auguro insieme. E con la bandiera granata!
Per scriverne attendevo però un momento fulgido della stagione torinista e mi pare che la vittoria di ieri sera sulla Lazio, dopo diversi momentacci, possa considerarsi tale.
La grandezza di questo libro è data dalla prospettiva, veramente insolita, dalla quale sono osservate le vicende del Torino. Non è comune che un sacerdote racconti aneddoti e leggende di una squadra di calcio. Don Aldo racconta di sé, a partire dai suoi dieci anni con la tragedia di Superga fino a oggi. Diventato sacerdote salesiano non si è mai staccato dal Toro anzi, a partire dal 1971 ne è diventato padre spirituale. Proprio da questo punto di vista, un capitolo dopo l’altro, dialogando con Beppe Gandolfo ripercorre la storia del Toro, inquadrando giocatori, sia campioni che semplici meteore, allenatori, presidenti sotto una luce inconsueta.
Mi fermo qui, per non cadere nella retorica da tifoso. E ripongo il libro nello scaffale granata, in mezzo ai tanti volumi e a tutti i filmati sul Toro che un giorno andranno a Alessandro (8 anni) e Benedetta (quasi 6), che qualche volta allo stadio hanno già indossato la maglia di Rolando Bianchi e che spero abbiano voglia di apprendere qualche pezzo di questa storia.
Inutile che dica che questo non è un libro per gobbi.

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