Ho letto “Il tuttomio” di Andrea Camilleri

Il suo corpo le sta dicendo che non ce la farà a stare senza Mario sino a giovedì, che è l’unico giorno nel quale potranno rivedersi.
Uno dice Camilleri e pensa subito a Montalbano. Oppure a certi suoi romanzi storici. Sempre e comunque con quello splendido linguaggio che lo scrittore di Porto Empedocle si è reinventato, mutuandolo dal dialetto siciliano. Niente di tutto questo è nel deludentissimo Il tuttomio, un libro che non si capisce perché sia stato scritto, se non per sfruttare al massimo l’onda lunga del suo successo. Ma così si prendono in giro i lettori, quelli buggerati come me che contribuiscono a posizionarlo al top delle classifiche delle vendite ormai da settimane.
Una storiaccia, scritta in italiano corrente, anzi andante, assemblata nel maldestro e non riuscito tentativo di ricreare un po’ di suspense. Qui sta, secondo alcuni, il valore aggiunto di Camilleri: la capacità di cambiare registro, di non fossilizzarsi sulla Trinacria, di stupire il lettore. Sì, mi ha proprio stupito….
Lo scrittore siculo non nasconde di essersi ispirato ad un fatto di cronaca nera accaduto nel 1970 a Roma, quello del duplice omicidio, con suicidio, dei Marchesi Casati Stampa. Un episodio di sesso e di sangue che all’epoca sconvolse l’opinione pubblica. Dopo pochissime delle poche pagine che compongono il romanzo (chiedendo scusa al concetto di romanzo) quella z…ola decerebrata di Arianna, la protagonista, dà già sui nervi. Arianna e il suo tuttomio, un antro fisico accessibile solo a lei, a guardia del quale non a caso ha messo una testa di vacca, ma anche luogo dell’anima nel quale si rinchiude per confessare a se stessa le proprie pulsioni e perversioni. E’ scontato che superare quella barriera off limits sia fatale per chiunque.
Lei allora aveva preso una pietra e con quella gli aveva dato una gran botta sul pisello. Poi, con una forza che non credeva d’avere, l’aveva spinto fuori. Barcollando, Felice era andato a inciampare nella testa di vacca ed era caduto all’indietro, sbattendo la nuca contro un sasso. Per fortuna il ragno Bertoldo se l’era cavata.
Camilleri ha tentato la strada della fiaba erotica ma gli è uscito dalla penna soltanto un pasticcio fastidioso. E la suggestione di William Faulkner, che lui cita nella postfazione, sembra un azzardo irrispettoso.

Share this nice post:
Questa voce è stata pubblicata in Libri. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*