Perché Cairo ha sbagliato

Prosegue purtroppo il processo di ‘normalizzazione’ del Torino, ovvero il tentativo di far diventare il Toro una squadra ‘normale’, cioè come tutte le altre. L’amara conclusione della vicenda di Rolando Bianchi ne è l’ennesima dimostrazione. Non entro nel merito di considerazioni tecnico-tattiche, anche se:
– le undici reti realizzate quest’anno parlano da sole;
– le 77 realizzazioni in maglia granata sono altrettanto eloquenti;
– (ma vi rendete conto?) ha segnato più del miglior marcatore della scudettata madama (Vidal e Vucinic fermi a 10).
No, non parlo del valore tecnico del giocatore. Voglio sottolineare come ha dimostrato di essere diventato un calciatore simbolo per la sua tifoseria, così come Totti lo è per i romanisti, senza peraltro avere vent’anni di militanza nella stessa squadra. Anzi, il fatto di esserlo dopo sole cinque stagioni avvalora questa sua caratteristica.
Non sono stati presi da isteria collettiva i tifosi che da mesi sono vicini al loro capitano e ieri sera lo hanno acclamato! Semplicemente hanno capito che avevano bisogno di un’icona a cui aggrapparsi dopo anni e anni in cui non è mai apparso un calciatore simbolo. Provate a ricordare chi è stato l’ultimo, ciascuno può avere il suo, ma occorre andare indietro nel tempo di almeno un paio di decenni.
Quello che stupisce è che un uomo che ha fatto le proprie fortune con la pubblicità, il marketing, la comunicazione (sorvolo su Ventura e Petrachi che sono degli stipendiati) come Urbano Cairo (Communication S.p.A.) non abbia capito per tempo il fenomeno di tifo, di affetto, di passione che si stava cristallizzando attorno a Rolando Bianchi. Che è umanamente un personaggio attorno al quale si poteva ricostruire (c’era tutto il tempo per farlo) quel clima di orgoglio e di passione tra i giovani che manca da un pezzo, a cominciare dai bambini che portano con orgoglio la maglietta granata con il numero 9 e il suo nome sulla schiena. Semplicissime operazioni di immagine che è fin troppo banale ipotizzare e di cui un uomo esperto di marketing avrebbe anche potuto quantificare il ritorno in termini monetari (sebbene i valori morali e di passione non abbiano prezzo), sicuramente di gran lunga superiore al costo dell’ingaggio. Così non è stato. Miopia, semplice miopia del presidente? O c’è del “non detto” di cui noi non siamo a conoscenza?
Di fatto qualcosa si è rotto nel rapporto tra i tifosi e la società e la colla per aggiustarlo costerà molto cara.

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