Ho letto “Un romanzetto lumpen” di Roberto Bolaño

Ormai sono una madre e una donna sposata, ma fino a non molto tempo fa ero una delinquente. Mio fratello e io siamo rimasti orfani. Questa cosa in qualche modo giustificava tutto. Non avevamo nessuno. Tutto è successo dalla sera alla mattina.
Questo è il rassicurante incipit di un romanzetto di 120 pagine che si legge tutto d’un fiato e che ho voluto leggere proprio nei giorni dell’uscita del film che ne è stato tratto (Il futuro di Alicia Scherson). Come a dire che qualunque nefandezza voi leggiate, ormai è tutto sistemato. E da quel giorno la giovane Bianca ne ha viste di cotte e di crude. Lei e il fratello hanno mollato gli studi e cercato un lavoro, tirando a campare nella casa dei genitori.  Roberto Bolaño ha scritto questo lungo racconto durante un soggiorno a Roma, ambientandolo lì. Forse non è il libro più indicato per avvicinarsi allo scrittore cileno e alla sua corposa produzione letteraria. In precedenza avevo solo letto La pista di ghiaccio, una sorta di sua autobiografia giovanile.
A casa dei due ragazzi – Bianca è shampista da una parrucchiera, il fratello fa le pulizie in una palestra – arrivano due uomini, un bolognese e un libico. I due si comportano in maniera gentile, si sistemano nella camera che era stata dei genitori e iniziano uno strano ménage a quattro. Bianca si pone delle domande sulle loro reali intenzioni.
Un giorno il bolognese e il libico se ne andarono di casa. Passai un’ora, più o meno, a ispezionare i cassetti per vedere se avevano rubato qualcosa. Non mancava nulla.
Qualche tempo dopo il loro ritorno, la portano a casa di uno strano personaggio, un culturista affermato, ma anche attore di successo in una serie su Maciste, poi divenuto cieco in seguito a un incidente. Vive da solo in una sorta di castello. Ora il disegno diventa evidente: lasciare Bianca in balìa delle voglie di Maciste per poi derubarlo quando è cotto a puntino.
…Maciste, mentre girava quel film, era nel presente mentre io, che vedevo il film o che sognavo di vedere il film, ero nel futuro, nel futuro di Maciste, cioè nel nulla.
Raramente in così poche pagine ho letto situazioni più angoscianti. Bianca continua a visitare la casa di Maciste, a concedersi, nella speranza di trovare una cassaforte. E’ come se vivesse anche lei nel buio in cui è racchiusa la vita dell’omone. Ma chi dei due è la vittima, chi il carnefice? Bolaño dissemina la narrazione di simbologie. L’uomo, al secolo, si chiama Giovanni Della Croce. Come il santo e poeta castigliano del ‘500, fondatore dell’ordine dei Carmelitani Scalzi e autore di una famosa poesia, Notte oscura dell’anima, che ha influenzato e ispirato teologi, scrittori, artisti come Dalì, poeti come T.S.Eliot, addirittura cantanti. Nulla è più oscuro dell’anima di Bianca, che però cerca una via d’uscita, la luce, la luce del futuro.
In fondo io pensavo sempre al futuro. Ci pensavo talmente tanto che il presente era entrato a far parte del futuro, la parte più strana.
Libro scarno, prosa meno che essenziale. Roberto Bolaño lo ha scritto nel 2002 (un anno prima della prematura scomparsa che ne ha fatto un mito della letteratura di lingua spagnola – parecchi suoi scritti sono stati pubblicati postumi). E ora il film, una produzione Italia/Cile/Germania/Spagna, che vede Rutger Hauer nel ruolo di Maciste/Giovanni Della Croce.

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